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Uccelli (15)

Giovedì, 14 Luglio 2022 14:24

La civetta, regina della notte

Le civette sono uno dei rapaci notturni più affascinanti di sempre. Elegantissime e sfuggenti, la notte è il loro regno. Sono da sempre simbolo di saggezza e mistero.

Dalla civetta di Atena a Edwige di Harry Potter, nei secoli la civetta ha sempre affascinato gli uomini. È stata al centro di fiabe, leggende, miti. Questa specie incredibile è stata raffigurata su quadri famosi, sulle monete e persino nelle tombe egizie. Conoscerla, studiarla, amarla, ci permette di continuare a proteggerla. La civetta Athena noctua è un rapace notturno che si può avvistare dal Mediterraneo alla Cina, dall’Africa tropicale fino all’Etiopia e al Golfo Persico.

I suoi ambienti preferiti si trovano nelle vicinanze degli abitati, sia in pianura sia in collina, ma raramente si rinviene oltre i 1000 metri di altitudine. Sarà per questo suo vivere al confine delle tenebre che nei secoli la civetta è diventata simbolo della luce e della saggezza, ma anche vittima di superstizioni che la vedevano come “uccello del malaugurio”. Alla civetta storia e tradizioni hanno sempre attribuito un forte valore simbolico, talora benefico, talaltro portatore di cattiva sorte.

Come riconoscere le civette

La civetta è lunga circa 21-23 cm, con un’apertura alare di 53-59 centimetri. A differenza del gufo ha una forma più tozza, un capo largo e piatto senza i ciuffi auricolari. Occhi gialli e zampe lunghe, parzialmente rivestite di setole. La parte superiore è grigio-bruno striata di bianco, mentre in quella inferiore è prevalente il bianco, macchiato di bruno.

La civetta tra superstizione e saggezza

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La civetta si muove soprattutto nelle ore della notte, è attiva anche al tramonto e all’alba, ma resta vigile durante tutta la giornata. Sarà per questo suo vivere al confine delle tenebre che nei secoli le è stato attribuito un forte valore simbolico, spesso benefico, altre volte portatore di cattiva sorte.

Nell’antica Grecia la civetta era considerata sacra per la dea Atena (da qui il suo nome scientifico) e per questo rappresentata su vasi, bassorilievi e monete. Era anche l’uccello simbolo della città di Atene dove era sempre benvenuta e molto comune, tanto che un modo di dire coniato da Aristofane recitava “portare le civette ad Atene” per descrivere qualcosa di veramente scontato.

 

Con il Medioevo la civetta si carica di un significato più oscuro. Come i gatti diventa il simbolo delle streghe ed è vittima di inutili superstizioni diventando “uccello del malaugurio". C’è una civetta anche al centro della “Fontana della Vita” che fa parte del del famoso “trittico del giardino delle delizie” di Hieronymus Bosch. Circondata dagli animali fantastici dell’Eden la civetta guarda il mondo con due occhi buffi e molto curiosi.

Nel quadro “Adorazione ai magi” di Ludovico Mazzolino la civetta è usata invece come simbolo di sapienza divina, portata al braccio da un piccolo paggio che tiene al guinzaglio una scimmia che invece in questo caso sta a rappresentare la stupidità.

Con il Romanticismo i rapaci notturni, e quindi anche la civetta, tornano di moda carichi di suggestioni positive. Oggi la civetta, come i gufi, è addirittura diventata un portafortuna raffigurato su migliaia di portachiavi, t-shirt e altri oggetti di artigianato artistico. Ad aumentare la fama di questo animale c’è la civetta delle nevi Edwige, uno dei personaggi magici più amati dai fan della fortunatissima saga di Harry Potter che è diventata anche una serie di film campioni di incassi.

 

"...quando tra l'ombre svolò rapida una
ombra dall’alto:
orma sognata d'un volar di piume,
orma di un soffio molle di velluto,
che passò l'ombre e scivolò nel lume
pallido e muto." - dalla poesia "La civetta" di Giovanni Pascoli

Perchè si dice civettare

Si dice “fare la civetta” di una persona che cerca di attirare tutti gli sguardi su di sé con atteggiamenti e moine. Questa espressione, di cui parla anche Boccaccio nel “Decameron”, ha una spiegazione scientifica. Un tempo le civette venivano catturate e usate come richiami vivi dai cacciatori per catturare piccoli passeriformi. In queste particolari condizioni le civette mettono in atto comportamenti eccezionali per cercare di attirare la preda, come inchini, battiti di ali e ammiccamenti.

La civetta e l'uomo

I miti, l’arte e la letteratura ci raccontano una verità: nel bene e nel male la civetta vive vicino all’uomo da migliaia di anni. Oggi, superata ogni superstizione, la civetta è un animale simbolo dell’equilibrio tra l'uomo e la natura, del rispetto che dobbiamo avere per la bellezza della biodiversità, fonte di continua meraviglia a pochi passi dalle nostre case. La famiglia degli strigidi (a cui appartengono le civette, i gufi, gli assioli e altri bellissimi rapaci notturni italiani) comprende più di 100 specie diverse, spesso molto diverse tra loro, dalla minuscola civetta nana al maestoso gufo reale.

Ognuna di queste specie ha un ruolo fondamentale nell'ecosistema a cui appartiene. La Lipu da sempre ha una grande attenzione per la conservazione dei rapaci notturni la cui esistenza è legata agli ambienti agricoli naturali e a una natura in buono stato di conservazione. Per difenderli in questi anni abbiamo sviluppato e sostenuto azioni diverse come ad esempio la messa in sicurezza delle linee elettriche ad alta tensione (che causano incidenti spesso mortali) e la diffusione delle buone pratiche agricole che tutelino quegli ambienti che sono la casa di molti rapaci notturni.

 

Inoltre nei nostri Centri recupero ogni anno arrivano decine di questi splendidi animali che vengono soccorsi perché feriti o debilitati. Possiamo proteggerli e curarli grazie al lavoro dei nostri volontari e operatori e grazie al sostegno dei Soci Lipu e dei donatori.

 

Martedì, 08 Giugno 2021 14:51

Gli aironi, affascinanti e magici

Eleganti, slanciati, inconfondibili. Gli aironi sono una presenza molto comune nei corsi d’acqua vicino alle nostre città. Il loro profilo nobile da sempre affascina l’uomo tanto da aver ispirato il mito della fenice.

Questi bellissimi uccelli, inconfondibili per la loro eleganza, sono citati nelle Metamorfosi di Ovidio: secondo quanto raccontato dal poeta romano un airone si levò in volo dalla cittadina di Ardea dopo che fu ridotta al suolo da Enea. Da qui l’origine del loro nome scientifico, ad esempio Ardea cinerea o Ardea purpurea.

Grazie al loro aspetto distinto, leggiadro e maestoso in volo, signorile e raffinato durante la caccia, questi stupendi volatili hanno saputo ispirare le creazioni di artisti e letterati. Impossibile non pensare a Emozioni di Lucio Battisti che inizia proprio con l’immagine di un airone in volo.

“Seguir con gli occhi un airone sopra il fiume e poi / Ritrovarsi a volare / E sdraiarsi felice sopra l'erba ad ascoltare /Un sottile dispiacere”

L’airone protagonista delle fiabe

Nell’immaginario e nella simbologia legata agli uccelli, l’airone cenerino ha diversi significati che ne fanno un animale carico di suggestioni.

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Per tradizione è una creatura malinconica e diversi scrittori hanno usato l’airone come simbolo per le loro storie. "L’airone” di Jean De La Fontaine, che passa tutto il giorno ad aspettare la preda più succulenta rimanendo a fine giornata a becco asciutto, rappresenta chi troppo vuole nulla stringe. Quello di Esopo si ritrova ad aiutare un lupo in difficoltà finisce gabbato dal malvagio animale.

Per Giorgio Bassani, l’autore del Giardino dei Finzi Contini, l’airone diventa - nel romanzo omonimo - un simbolo carico di significati esistenziali e riflessioni sulla condizione umana.

L’airone è all’origine del mito della Fenice

La leggenda della mitica Fenice trova la sua origine proprio nell'airone. L’airone sacro agli egizi tornava ogni anno sul Nilo nel periodo delle inondazioni, diventando così simbolo di ritrovata fertilità e abbondanza.

In Egitto la Fenice sotto forma di airone è rappresentata in alcune tombe dove era adorata dal defunto, come simbolo di rinascita e trasformazione.

Quando la moda vittoriana ha quasi causato l’estinzione degli aironi

Purtroppo proprio grazie alla bellezza del suo piumaggio l’airone è stato in passato vittima di una moda crudele. Maria Antonietta è stata la prima a lanciare la moda dei cappellini decorati con piume vistose, ma la loro produzione è stata incredibilmente dannosa per queste creature nell’epoca vittoriana. Gli uccelli più ricercati per le loro piume erano molti: tra questi la garzetta, un bellissimo e candido airone che vive e si riproduce in Europa.

All’inizio erano solo le dame della nobiltà a concedersi questo vezzo crudele, ma questi accessori iniziarono a spopolare e si andò incontro a una vera e propria strage di uccelli. Ne fecero le spese anche gli aironi bianchi maggiori, che divennero rarissimi alla metà del millennio passato. Secondo i documenti nel 1902, nella sola Londra, furono venduti almeno 1068 pacchi di penne di airone, per i quali sono stati uccisi ben 192.960 uccelli.

Per fortuna questa pratica è passata di moda da molto tempo e oggi tutte le specie di aironi sono specie protette e tutelate.

Esistono tante specie di airone

Slanciati ed eleganti, negli aironi il colore delle penne cambia a seconda della specie. In Australia abita L'airone dal collo bianco (Ardea pacifica): il corpo e le ali sono neri e il collo e la testa bianchi. In Nord America e nell'America centrale troviamo l’airone verde (Butorides virescens), dal caratteristico piumaggio color smeraldo. L'airone tigrato gola nuda (Tigrisoma mexicanum) invece vive in America centrale e come suggerisce il nome comune, curiosamente, non ha penne sulla gola.

In Italia sono presenti l’airone guardabuoi (Bubulcus ibis), l’airone cenerino (Ardea cinerea), l’airone rosso (Ardea purpurea), l’airone bianco maggiore (Ardea alba), la sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides), la garzetta (Egretta garzetta) e la nitticora (Nycticorax nycticorax).

L’airone meno freddoloso

Tra le diverse specie italiane, l’airone cenerino (Ardea cinerea) è quello che migra più a Nord. Originario delle regioni temperate dell’Europa e del Nord Africa, in estate è possibile trovarlo lungo le coste della Norvegia, anche oltre il circolo polare artico.

Il più grande, l'airone bianco

L’Airone bianco maggiore (Ardea alba) è il più grande della sua famiglia e può superare il metro di altezza. In Italia il primo nido è stato trovato solo nel 1990. L’airone bianco maggiore costruisce il nido nascondendosi tra i canneti e nidifica sia in coppie che in colonia (dette garzaie), anche con altri Ardeidi. Si ciba di pesci e anfibi, rettili e piccoli mammiferi, nonché, talvolta, di uccelli di piccole dimensioni.

Un airone con... la barba

L’Airone rosso (Ardea purpurea), a differenza di altre specie, è facilmente riconoscibile per il suo piumaggio caratteristico. Ha un elegante ciuffo di penne che scendono dal becco fino al collo, con un colore che va dal rosso al marrone. Bruno-nere appaiono invece le parti inferiori, mentre altre penne dorate emergono dal dorso.

Il più piccolo, l'airone guardabuoi

Gli aironi guardabuoi (Bubulcus ibis) prendono il loro nome comune per l’abitudine di accompagnarsi a mandrie di bovini (ma talvolta anche cavalli) dai cui parassiti, che beccano dal loro pelo, traggono nutrimento. Li si può avvistare con facilità nei campi dove seguono i trattori durante le fasi di lavorazione del terreno. È un uccello di taglia media con un piumaggio bianco e si distingue per il becco giallo e le zampe grigie. Ma, non appena arriva la fase della riproduzione, gli aironi guardabuoi sfoggiano una livrea più colorata con penne arancioni sulla nuca e sul dorso. In inverno invece l’abito torna bianco.

Dove abitano gli aironi italiani

Le varie specie di aironi possono popolare habitat diversi, ma preferiscono acque basse e ricche di prede. Sono quindi ideali risaie, paludi, canneti, fiumi, canali e navigli. In Pianura Padana, per esempio, li troviamo soprattutto lungo le zone delle risaie. A Milano qualche esemplare più urbanizzato è presente anche sul Naviglio Martesana. È possibile avvistarli anche lungo le rogge e i fiumi tra Vicenza (anche nel centro storico) e Belluno, nella zona del Delta del Po, e da qualche anno anche nel Parco Colli Euganei di Padova. In Toscana nidificano lungo le sponde dell'Arno, del Serchio, del Fiora e nell'alta valle del Velino. Sono abbondanti anche lungo il Tevere e i suoi affluenti. In particolare, la presenza dell'airone cenerino è stata rilevata anche nelle Marche, lungo il Metauro e l’Esino.

Come stanno gli aironi?

Delle otto specie che vivono in Italia strettamente legate alla Famiglia degli Ardeidi, ovvero tarabusino, tarabuso, garzetta, airone guardabuoi, airone cenerino, airone rosso, airone bianco maggiore e sgarza ciuffetto, tre specie quali tarabusino, tarabuso e nitticora risultano in cattivo stato di conservazione, mentre tutte le altre risultano in inadeguato stato di conservazione, ad eccezione dell’airone rosso e dell'airone guardabuoi che risultano invece positivamente in favorevole stato di conservazione.

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Venerdì, 02 Aprile 2021 15:03

L'usignolo, la voce più bella della natura

È da sempre uno dei simboli della primavera. Con il suo canto l’usignolo nei secoli ha affascinato poeti e musicisti, da Petrarca a Shakespeare, ma anche Chopin, Vivaldi e Stravinsky.

La sua voce un tempo era considerata un antidolorifico naturale, oggi ci ricorda la bellezza della natura che non ci abbandona mai, nemmeno nei momenti più difficili

Il canto più bello della natura, con 260 tipi di strofe

L’usignolo Luscinia megarhynchos è l'uccello canoro per eccellenza tanto che in italiano il sostantivo “usignolo” è diventato sinonimo di una persona che canta molto bene. Ma non è solo una leggenda, le capacità vocali di questa specie sono davvero da record.

Il canto dell’usignolo è composto di strofe con toni singoli e toni doppi che si allineano densamente l’un l’altro. Nella sua vita un usignolo può arrivare a conoscere fino a 260 tipi di strofe diverse che combinate insieme compongono un repertorio di “canzoni” che di solito durano dai 2 ai 4 secondi. Le variazioni nei canti tra gli usignoli di diverse aree permettono di riconoscere diversi “dialetti” regionali fornendo informazioni molto utili per gli ornitologi ed etologi.

Come ascoltare il canto dell’usignolo

L’ambiente migliore per ascoltare il canto dell’usignolo è il margine di un bosco. Non c’è una regione o un habitat in particolare visto che l’usignolo è presente praticamente in ogni ambiente naturale del nostro Paese. Quando ascoltarlo? All’inizio della primavera, nella fase di accoppiamento, il maschio dell’usignolo canta soprattutto nelle ore notturne, dal tramonto all’alba. il canto serve infatti per delimitare il territorio e per attirare la partner. A primavera inoltrata invece gli usignoli si possono sentire benissimo anche durante il giorno. Ascolta il suo canto

L’usignolo, uccello dei poeti da Petrarca a Shakespeare

Usignolo di fiume dal libro Conoscerli, proteggerli. Illustrazione di Silvia Molinari Usignolo di fiume dal libro Conoscerli, proteggerli. Illustrazione di Silvia Molinari

Con il suo canto notturno melodioso l’usignolo non poteva che diventare il simbolo degli innamorati e, di conseguenza, animale preferito dai poeti più romantici. Come Francesco Petrarca che nel suo Canzoniere dedica all’usignolo questi versi immortali: «Quel rosignuol, che sí soave piagne, forse suoi figli, o sua cara consorte, di dolcezza empie il cielo et le campagne con tante note sí pietose et scorte...» O ancora William Shakespeare che nel suo dramma più celebre “Romeo e Giulietta” trasforma l’usignolo in una dolce scusa, tra i due innamorati, costretti a separarsi: «Vuoi già andar via? Il giorno è ancora lontano. È stato l'usignolo, non l'allodola, che ha colpito l'incavo del tuo orecchio timoroso. Canta ogni notte, laggiù, su quell'albero di melograno. Credimi, amore, era l'usignolo.»

Un canto che cura

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Nell’antichità il canto dell’usignolo era considerato così dolce da poter curare le malattie e funzionare come antidolorifico, per questo nelle stanze dei malati veniva a volte appesa una gabbietta. A questa leggenda di origine medievale si ispira Hans Christian Andersen per la sua famosissima favola “L’usignolo” che verrà poi musicata da Igor Stravinsky diventando una delle opere più famose dei Balletti Russi. Nel racconto di Andersen un imperatore dell'estremo oriente preferisce il tintinnio di un uccello meccanico al canto di un usignolo vero. Ma quando l’imperatore si ammala e rischia di morire sarà solo il canto dell'usignolo a salvarlo.

L’incredibile viaggio dell’usignolo

Forse non tutti sanno che l’usignolo è un uccello migratore che percorre migliaia di chilometri ogni anno per spostarsi dall’Africa tropicale all’Europa Centrale in cerca di un posto sicuro in cui fare il nido. Viaggiando di notte, e riposando di giorno, la migrazione degli usignoli è meno appariscente di quella di altri uccelli, ma non meno interessante per la scienza che, negli ultimi anni, ha utilizzato spesso questa specie per monitorare l’impatto dei cambiamenti climatici sulle rotte migratorie.

Il modo migliore per proteggere l’usignolo, ma anche il barbagianni, il gufo, l’aquila di Bonelli, il falco pellegrino e tutte le altre preziosissime specie del nostro paese è diventare Socio Lipu. Oltre all’iscrizione, con una donazione in più puoi ricevere il libro “Conoscerli, proteggerli” 448 pagine con più di 200 tra foto e illustrazioni che raccontano lo stato di salute di 250 specie di uccelli italiani. Un libro imperdibile per imparare ancora di più sugli animali e la natura italiana.

 

 
 
 
Venerdì, 25 Settembre 2020 15:04

La cinciallegra, esploratrice e chiacchierona

La cinciallegra è uno degli uccelli più facili da riconoscere, viene spesso a farci visita su balconi e davanzali.

Molto più intelligente e intraprendente di quanto pensiamo, questo piccola esploratrice ha ispirato anche poeti e scrittori

La passione per l’esplorazione, il carattere della cinciallegra

La cinciallegra è un uccello insettivoro che si nutre di larve, api e ragni trovati tra i rami bassi e nel terreno.

Ami le cincie e gli altri animali?Se ti piace immergerti nello spettacolo di un volo o osservare gli uccelli tra i rami, puoi conoscere sempre di più sul loro mondo. Come stanno le rondini, le cincie, le cicogne? Scoprilo iscrivendoti alla Lipu con 25 euro e aggiungendo una donazione a partire da 30 euro. Riceverai il nuovo affascinante libro "Conoscerli, proteggerli", frutto di oltre 10 anni di studio su 250 specie che nidificano in Italia.

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Essendo molto golosa non disdegna però anche semi, frutta e bacche. Inoltre è una specie che non ha paura di spingersi in nuovi territori per procacciarsi cibo prima degli altri animali.

Questa sua passione per l’esplorazione è una caratteristica comune agli uccelli della famiglia dei paridi. Le cinciallegre vanno a nutrirsi nelle mangiatoie appena installate, prima delle altre specie mangiatoie. Questo comportamento esplorativo le rende molto adattabili: è un animale molto intuitivo e in questo modo evita la concorrenza con le altre specie, chi prima arriva meglio alloggia!

Che lingua parla la cinciallegra?

Secondo alcune credenze la cinciallegra avvertirebbe col suo canto le persone di un pericolo imminente, prevedendo così il futuro. Come in ogni leggenda anche questa ha un fondo di verità. Secondo recenti studi le cinciallegre usano un linguaggio complesso, articolato e codificato.

Stando a questa ricerca, basata sull’osservazione del comportamento e la registrazione del cinguettio dalle cinciallegre alle prese con diversi predatori, questi uccelli usano suoni e richiami specifici a seconda del predatore da affrontare. Questo permette a tutti gli esemplari nei dintorni di capire da quale tipo di pericolo dovranno difendersi.

Colore delle piume

Un'altra scoperta sulle cinciallegre è stata fatta da alcuni studiosi finlandesi e riguarda la colorazione delle loro piume. L'intensità del giallo delle piume sul petto negli esemplari più giovani aumenta man mano che ci si allontana dalle zone industriali. Infatti l'inquinamento atmosferico causato da ossidi di zolfo e metalli pesanti uccide i bruchi dai quali le cinciallegre ottengono pigmenti gialli, una caratteristica per loro molto importante e che riguarda il comportamento riproduttivo della specie.

Come riconoscere la cinciallegra

La cinciallegra (Parus major) è un uccello che appartiene alla famiglia delle cince e risulta la più riconoscibile grazie ai colori del suo piumaggio. Il capo è blu scuro quasi nero, mentre il petto è di un giallo brillante attraversato da una banda nera. Questa linea è utile anche per distinguere i sessi, nelle femmine infatti è più stretta che nei maschi. In comune con le altre cince, la cinciallegra ha le inconfondibili guance di colore bianco che le donano un aspetto ancora più elegante e ricercato.

Dove vive la cinciallegra

La cinciallegra vive in tutta Europa e in Nord Africa, ed è possibile incontrarla facilmente in zone collinari e pianeggianti. Popola boschi di conifere, frutteti, campi, siepi, giardini e parchi urbani. Fa compagnia all’uomo dalla campagna alla città. La cinciallegra si è sempre adattata con estrema facilità alla presenza degli esseri umani, proprio per questo è una delle specie di uccelli presenti con regolarità anche nei centri cittadini. In Italia è una specie molto diffusa, stanziale durante tutto l’anno.

Capita spesso di vederla in volo o tra i rami degli alberi. Nidifica tra marzo e giugno, occupando le casette e i nidi artificiali posizionati fuori dalle nostre abitazioni.

Cinciallegra musa di poeti e scrittori

Diversi poeti hanno usato la cinciallegra per dare vita e colore ai loro componimenti. Guillaume Apollinaire, per esempio, in una delle sue poesie paragona la donna amata proprio a una cinciallegra: “I suoi occhi erano i tuoi graziosi occhi / Le sue piume i tuoi capelli / Il suo canto le parole misteriose / Sussurrate alle mie orecchie”. Anche negli scritti di Giovanni Pascoli, dove per creare suggestioni sono ricorrenti animali e uccelli, troviamo più volte riferimenti cinciarella, la specie più simile alla cinciallegra.

Nel poemetto La notte scrive: “E la macchia pareva un alveare, piena di frulli e di ronzii. Ma ella sentiva anche un frugare, uno sfrascare, un camminare. Chi sarà? Ma in quella che riguardava tra un cespuglio raro, improvvisa cantò la cinciarella” . La scrittrice Dacia Maraini paragona invece l’amore proprio alla cinciallegra, per la sua natura libera e intraprendente: «L'amore è una cinciallegra che vola e non riesci a fermarla, nemmeno a metterle il sale sulla coda».

La Lipu difende la cinciallegra, il pettirosso, i passeri, i piccoli compagni della nostra vita quotidiana e simbolo dell’equilibrio delicato tra uomo e natura.

La natura è la nostra speranza, diventa Socio della Lipu

Mercoledì, 20 Marzo 2019 15:24

Buona Primavera!

E’ la stagione della rinascita, della vita che torna a mettersi in moto dopo il freddo dell’inverno. Ogni cosa si rinnova e la natura si risveglia in tutta la sua bellezza.

Fin dall’antichità l’uomo è stato affascinato dalla primavera e ha cercato di spiegare questo fenomeno anche attraverso i miti. Per chi ama gli animali, la primavera è un momento straordinario, il mondo intorno si trasforma in un palcoscenico di colori, canti, danze e tra i protagonisti principali ci sono naturalmente gli uccelli.

Persefone e le altre

Gli uomini hanno sempre festeggiato la primavera e cercato di spiegare il mistero del mondo che fiorisce e torna alla vita, dopo il letargo invernale. Già nell’antico Egitto esisteva la festa di Sham el Nessim, in cui si celebrava la nuova stagione con banchetti all’aria aperta e appendendo uova colorate, simbolo della fenice, l’uccello eterno che rinasce dalle sue ceneri.

Ma la leggenda più famosa sulla primavera è il mito di Persefone, moglie di Ade che nelle stagioni fredde resta negli Inferi come regina dell'oltretomba, mentre alla fine dell’inverno torna sulla Terra per raggiungere la madre Demetra e far sbocciare i fiori al suo passaggio.

In quasi tutte le culture esiste una dea che personifica la primavera: Vesna nella tradizione slava, Eostre per i celti. Ancora oggi, in Giappone, ogni primavera si celebra Kono-Hana-Sakuya-Hime, letteralmente “la ragazza che fa fiorire gli alberi”, che avrebbe il merito della spettacolare fioritura degli alberi di ciliegio.

Non arrivano solo le rondini

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Iscriviti e ricevi Ali, la rivista dei Soci LipuAli è la rivista di chi ha la passione per la natura. Sfogliare, leggere “Ali” è un piacere per la mente e per gli occhi.

“Ali” è un magazine trimestrale in cui scienza e amore per la natura si incontrano. Iscriviti e insieme al primo numero di Ali riceverai anche 4 stampe d'autore.

IscrivitiDIFENDI LA NATURA

Nell’immaginario popolare il 21 marzo, giorno di inizio della primavera, è legato al ritorno delle rondini. E’ proprio in questo periodo che le rondini tornano in Italia dopo aver svernato in Africa. L’arrivo delle rondini ha affascinato da sempre l’uomo, che gli ha dedicato leggende, fiabe, proverbi e poesie.

Ma le rondini non sono gli unici uccelli migratori che, con il loro ritorno nei cieli di marzo, annunciano la primavera. Il gruccione, ad esempio, è un coloratissimo uccello che passa la stagione fredda a sud del Sahara e alla fine di aprile rientra in Italia per fare il nido nelle pareti di argilla lungo fiumi e torrenti. Con i suoi splendidi colori - azzurro, arancio, ocra, turchese , nero - ci ricorda che la natura è una bellissima sorpresa.

Come fanno gli uccelli a capire che è arrivata la primavera?


E’ una domanda che l’uomo si è sempre fatto. Gli animali, soprattutto gli uccelli, sono i primi a capire che l’inverno è finito e annunciano la bella stagione con canti e danze nuziali, ma come fanno a sapere che è iniziata la primavera? Il segreto è tutto in una sveglia biologica il cui funzionamento è ancora in parte misterioso. Gli scienziati del Roslin Institute (Scozia) e della Nagoya University (Giappone), studiando le quaglie giapponesi (Coturnix japonica), hanno scoperto che esistono specifici geni che si attivano solo con la luce del sole di primavera stimolando le gonadotropine, ormoni sessuali che possono cambiare il comportamento degli uccelli provocando la trasformazione del piumaggio e stimolando il canto.

Il risveglio della natura, infatti, si fa sentire soprattutto attraverso i suoni. È la stagione del corteggiamento e della riproduzione per centinaia di specie di uccelli che, per comunicare e delimitare il territorio, usano il loro canto. Nella maggior parte dei casi sono i maschi a cantare per attirare le femmine della stessa specie.


Il più famoso canto di primavera è sicuramente quello del cuculo (Cuculus canorus), celebrato anche da canti e filastrocche popolari come il verso che scaccia l’inverno e annuncia la bella stagione “Cucù cucù, l’inverno non c’è più”. Ma sono tante le specie che con i loro vocalizzi caratterizzano la primavera, come il merlo o l’usignolo, che proprio grazie alle loro “serenate” sono diventati simboli del bel canto.

Tempo di “tip tap”

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Durante le fredde giornate invernali gli uccelli si muovono quasi esclusivamente per cercare il cibo. Muoversi significa disperdere energie e durante il periodo freddo non si possono sprecare calorie senza un valido motivo. Ma in primavera tutto cambia e, con la stagione degli amori, per molte specie cominciano anche le danze di corteggiamento.

Dall’elegante danza acquatica degli svassi maggiori alla solenne parata del gallo cedrone, ogni specie evolvendosi ha adottato tecniche e rituali diversi, talvolta veramente spettacolari. Uno studio recente ha rivelato ad esempio che l’astride dalla testa blu, un piccolo uccello che vive in Africa orientale, esegue per la femmina una danza molto simile al tip tap ma praticamente invisibile all’occhio umano.

Proteggere la Primavera

Quest’anno c’è un motivo in più per festeggiare gli uccelli in primavera. Nel 2019 è stato festeggiato il 40°’anniversario della Direttiva Uccelli, una grande legge europea, fortemente voluta anche dalla Lipu, che permette di proteggere centinaia di specie di uccelli nei loro ambienti naturali e la bellezza della primavera, con i suoi canti, le sue danze e i suoi colori.

Candida come la neve durante l’inverno e scura come la terra durante l’estate. La pernice bianca, con la sua straordinaria capacità di cambiarsi d’abito a seconda delle stagioni, è da sempre uno dei simboli della bellezza delle montagne italiane, ma oggi “rischia le penne” soprattutto a causa dei cambiamenti climatici e della caccia.

La Pernice bianca vive nelle praterie alpine, anche oltre i 2mila metri, in zone impervie e rocciose, tra le pietraie e le vette innevate dove crescono i germogli e i frutti delle piante erbacee e dei piccoli arbusti di cui si nutre, come i mirtilli e il rododendro. Il suo volo è elegantissimo, un veloce frullo di ali seguito da una spettacolare planata ad ali tese, vicino al suolo. La pernice bianca può essere considerata insieme all’aquila reale la regina delle montagne italiane.

La pernice “piede di lepre”

Il nome scientifico della pernice bianca è Lagopus muta. “Lagopus” in greco significa piede di lepre, un appellativo che nasce dalle particolari caratteristiche di questa specie che ha le zampe coperte di piume. Il termine “muta” invece è riferito al particolarissimo canto del maschio, un rauco "kroo rr kkkk" che può apparire strozzato ed è molto riconoscibile quando riecheggia nel silenzio degli alpeggi.

Uno spettacolare mimetismo

Ma la particolarità che rende davvero unica la pernice bianca sta nella sua capacità di “cambiarsi d’abito” a seconda delle stagioni per mimetizzarsi con l’ambiente circostante e sfuggire così alle attenzioni dei suoi predatori naturali come l’aquila reale, la volpe o il corvo imperiale. Durante l’estate i maschi presentano l’intera parte superiore del corpo (dalla testa al petto) picchiettate di marrone-nero, mentre il resto del corpo si presenta in genere di colore chiaro.

SALVIAMO LA PERNICEl'allodola, la tortora selvatica, la coturnice, la pavoncella, il moriglione e il tordo sassello: per difenderle dalla caccia, dai cambiamenti climatici, dalla perdita di habitat basta una piccola donazione.

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Salva le 7 specie

La femmina invece presenta un piumaggio più articolato, tendente al rosso. Con l’arrivo dell’autunno la pernice bianca comincia la sua trasformazione e sia il maschio che la femmina diventano grigi per poi assumere durante l’inverno un piumaggio candido che li rende praticamente invisibili sulla neve. Persino il becco, corto e robusto, partecipa a questa straordinaria trasformazione stagionale e passa dal marrone estivo al nero invernale. Gli unici dettagli che non cambiano mai nel corso di questa sorprendente muta sono la caratteristica fascia nera intorno all’occhio e al becco, tipica dei maschi, e l’estremità scura delle timoniere.

La pernice bianca è un campanello d’allarme dei cambiamenti climatici

La pernice bianca fino a pochi anni fa era ritenuta in un buono stato di conservazione; oggi è invece inserita in Italia nella lista rossa delle specie a rischio di estinzione come specie "Vulnerabile". Anche a livello europeo oggi rispetto al passato è classificata come Spec 3 (specie in declino, ma non concentrata in Europa), un dato allarmante evidenziato dalla terza edizione di Birds in Europe pubblicata nel 2017 da BirdLife International. La pernice bianca è l’esempio più allarmante di come i cambiamenti climatici abbiano una conseguenza diretta sugli uccelli selvatici e sui loro habitat.

Oggi questa bellissima specie è già praticamente scomparsa dalle prealpi, spinta a quote sempre più alta dagli inverni “caldi” e senza neve, condizioni necessarie perché avvenga la caratteristica muta. Sono numerose le minacce alla sopravvivenza della pernice bianca sulle nostre Alpi, dove vive e si riproduce in aree aperte e a quote elevate, e che negli ultimi 15 anni ha fatto registrare, a livello nazionale, un trend negativo delle popolazioni pari al 30%

Le cause principali di questa situazione critica sono il riscaldamento globale, la riduzione dei pascoli ad alta quota in cui la pernice bianca da sempre si nutre e si riproduce, ma anche un turismo spesso non sostenibile che disturba questi splendidi animali nel loro habitat naturale, sia d'inverno che in estate. Ultima, ma non meno pericolosa, la caccia: la pernice bianca infatti in Italia è ancora tra le specie cacciabili nelle regioni alpine.

Fermiamo la caccia alla pernice bianca

I dati sono allarmanti. Il futuro della pernice bianca è a rischio: è quanto emerso dal convegno che la Lipu ha recentemente organizzato al MUSE di Trento. (a questo link gli atti del convegno) Per questo è assurdo che oggi la pernice bianca sia una specie cacciabile. E non è la sola, il suo destino è condiviso da altre 6 specie che, nonostante siano a rischio, sono ancora nella lista delle specie che possono rientrare per legge nel mirino dei cacciatori.

Vogliamo presentare una proposta di legge che escluda dalle specie cacciabili la pernice bianca e con lei l’allodola, la tortora selvatica, la coturnice, la pavoncella, il moriglione e il tordo sassello.

Tutte specie che già sono in uno stato di sofferenza che la caccia può solo aggravare. Nel frattempo lavoreremo anche per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni coinvolgendo le amministrazioni delle regioni dell’arco alpino per un programma di piena tutela della pernice bianca. Lavoreremo per ottenere una politica agricola migliore, che favorisca gli uccelli che vivono in campagna. Faremo pressione sui nostri parlamentari, sulle autorità europee.

SALVIAMO LA PERNICE BIANCA e le altre 6 SPECIE. Per aiutarci a difenderle basta una donazione

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Salviamo la pernice!

SALVIAMO LA PERNICE E LE ALTRE SPECIE DALLA CACCIA,
DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI E DALLA PERDITA DI HABITAT!

Vogliamo una proposta di legge che escluda queste 7 specie dall’articolo 18 della legge 157/1992, garantendo loro un regime di piena protezione. Nel frattempo lavoreremo su tutti i fronti: la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità, la tutela o il ripristino di siti e habitat particolarmente adatti, le iniziative per un’agricoltura migliore, la tutela delle rotte migratorie per evitare gli abbattimenti illegali ma anche l’elaborazione di studi, monitoraggi e modelli per conoscere e tutelare ancora meglio queste specie.

Per aiutarci a difendere queste sette specie basta una donazione.

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Respira, si nutre, cresce e si riproduce: un albero è un essere vivente, parte fondamentale e “attiva” del nostro ambiente e della nostra cultura. Difendere gli alberi significa difendere il nostro benessere, in campagna e in città, così come la nostra memoria.

Gli alberi: un bene per la natura

Senza gli alberi la vita sulla Terra sarebbe impossibile. Può sembrare una frase banale ma è la realtà. Le specie vegetali infatti forniscono l’ossigeno fondamentale alla nostra esistenza e sono al contempo una parte essenziale della catena alimentare e di sostentamento per le specie del nostro pianeta. Non solo: grazie ai loro processi di respirazione e fotosintesi, gli alberi aiutano a combattere il riscaldamento climatico assorbendo l’anidride carbonica e contribuiscono alla pulizia dell’aria, incamerando inquinanti come ozono, ossidi di nitrogeno e biossidi di zolfo.

Una grande quantità di alberi contribuisce a una migliore termoregolazione dell’ambiente e questo vale soprattutto in città dove, senza la preziosa azione delle piante, i riscaldamenti domestici e le esalazioni del traffico aumenterebbero vertiginosamente la temperatura.

Inoltre, gli alberi sono utili nella conservazione dell’acqua e nel prevenire l’inquinamento idrico (assorbendo le sostanze nocive dalla pioggia e rilasciando invece acqua pulita in natura). Infine, gli alberi salvaguardano argini e terreni dall’erosione del suolo, fattore di estrema importanza in un Paese come il nostro spesso vittima di dissesti idrogeologici.

 

Gli alberi ci parlano

Eppure gli alberi non sono utili solo dal punto di vista ecologico ma anche da quello sociale. Accanto agli animali, gli alberi hanno fatto compagnia all’uomo fin dall’alba dei tempi. Ogni cultura ha sviluppato per loro una riverenza atavica. Ospite di spiriti divini o di esseri soprannaturali in quasi tutte le religioni, ogni albero ha poi sviluppato una sua precisa simbologia: dalla saggezza della quercia alla serietà del cipresso, dall’ulivo simbolo di vittoria ma anche di pace all’abete legato a tradizioni irrinunciabili, tra cui il Natale.

È come se da sempre l’uomo avesse instaurato con gli alberi un rapporto filosofico oltre che mistico e simbolico: è un albero, di solito identificato con un melo, il punto dal quale, quando Eva raccoglie il frutto proibito, inizia la storia dell’umanità come la conosciamo; è sempre sotto un albero, per la precisione un platano, che Socrate e Fedro disquisiscono nel celebre dialogo platonico.

E sempre gli alberi sono gli indicatori di una concezione idilliaca e bucolica della vita perfetta, ispirando poeti di ogni tempo, da Virgilio “Titiro, tu riposando alla cupola vasta di un faggio, / mediti un canto silvestre sulla sampogna leggera”) a Leopardi (“Povera foglia frale, / Dove vai tu? Dal faggio / Là dov'io nacqui, mi divise il vento”).

Nel suo recente saggio uscito per Garzanti, La saggezza degli alberi, Peter Wohlleben racconta tutto il fascino di questi esseri viventi apparentemente immobili e invece capaci di forme di comunicazione e sensibilità sorprendenti, perfino di qualità come prudenza o solidarietà verso vicini più deboli e malati. Comprendere la loro comunicazione segreta è un compito solo in apparenza arduo: “Quando si sa come e dove guardare, queste piante giganti sono come un libro aperto,” spiega Wohlleben.

“Ed è attraverso il loro linguaggio che possiamo aiutarli a trovare la giusta collocazione nei nostri giardini, a capire tempestivamente se sono in pericolo e come prendercene cura”.
Comunicare con gli alberi non è dunque un desiderio così strano: a volte ci pare di farlo spontaneamente, altre volte fantastichiamo su piante che prendono vita. Non a caso questo è un tema ricorrente nelle storie fantasy e nei film di fantascienza: dalla Nonna Salice di Pocahontas al Barbalbero del Signore degli Anelli, fino al simpatico Groot della saga dei Guardiani della Galassia. E anche se nella realtà gli alberi non parlano, il nostro dialogo con loro può avvenire in molti altri modi.

Gli alberi raccontano

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Gli alberi non sono solo oggetto dell’ispirazione creativa degli artisti, ma sono loro stessi dei narratori. La loro presenza e la loro frequenza racconta più di ogni altra testimonianza la storia e la memoria di città, borghi, quartieri e persino intere nazioni. Ad esempio, il cedro viene omaggiato sulla bandiera nazionale del Libano. Il riferimento è ovviamente all’essenza arborea più diffusa nel Paese ma anche alla storia del popolo libanese: ne fa risalire le origini, infatti, agli antichi Fenici i quali fondarono la propria potenza marittima e commerciale grazie alle navi ampie e robuste costruite in legno di cedro.

Simbolicamente quest’albero rappresenta la sacralità, la fermezza e l’eternità: il Tempio di Gerusalemme di re Salomone fu edificato proprio con questo legno, attingendo dalla grande Foresta dei Cedri di Dio, oggi Patrimonio dell’Unesco.
Dall’altra parte del mondo il ciliegio giapponese fonde in sé misticismo religioso e storia imperiale ed è a tutt’oggi un’attrazione turistica unica e ineguagliabile. Ogni anno, fra marzo e maggio, milioni di turisti ma anche di giapponesi si spostano fra Tokyo, Kyoto, Osaka e anche cittadine rurali per assistere all’hanami, la fugace fioritura dei ciliegi. Per la sua delicata bellezza e per la brevità della sua esistenza, il fiore rosato del ciliegio è simbolo di fragilità e morte, ma anche di rinascita e del meraviglioso ciclo infinito della vita.

Ma anche dalle nostre parti gli alberi sono portatori di storie e tradizioni: i filari di pioppi che ancora si incontrano nella Pianura Padana, ad esempio, ricordano strade di campagna ormai scomparse, antichi collegamenti e una civiltà agricola che ha conquistato il proprio benessere raccolto dopo raccolto.

Estirpare un albero significa cancellare una parte di una memoria che in molti casi non tornerà più. Ogni tronco, ogni ramo e persino ogni foglia, con il suo ciclico assecondare le stagioni, vanno indietro nel tempo in età che non possiamo nemmeno immaginare. Come le sequoie e gli altri alberi millenari del Nord America, testimoni di epoche in cui l’uomo ancora non era giunto.

 

Città a misura di pianta

Nel 2050 si prevede che il 70% della popolazione mondiale vivrà in città o comunque in aree fortemente urbanizzate. È dunque la fine della convivenza e di questo suggestivo rapporto con gli alberi, così come l’abbiamo conosciuto finora?

La risposta potrebbe essere no, se lo sviluppo delle nostre città seguirà nei prossimi decenni le idee fondamentali dell’ecologia urbana. Pianificare in modo diffuso e omogeneo la presenza di alberi e altre specie verdi nella progettazione cittadina permetterebbe di mantenere le funzioni ecosistemiche degli alberi stessi.

Al contempo aiuterebbe anche a proseguire nella valorizzazione di alcuni aspetti cruciali per la vita in città: un arredo urbano piacevole, una pulizia dell’aria costante, il mantenimento della biodiversità e così via. Molto possono fare in questo senso le amministrazioni incaricate di pensare o ripensare il nostro modo di vivere e abitare nel prossimo futuro.

Per aiutarle la Lipu ha appena pubblicato un documento dal titolo “Il verde urbano e gli alberi in città” che offre indicazioni fondamentali per la corretta progettazione e la gestione ecologica del verde urbano. Nel tempo sono nate tante iniziative per valorizzare la presenza e la salvaguardia degli alberi in città, dalle discussioni sull’architettura eco-sostenibile alle azioni non convenzionali del cosiddetto guerrilla gardening.

 

 

Al di là del nome bellicoso, quest’ultima tendenza consiste nel coinvolgere le comunità nel riappropriarsi degli spazi verdi lasciati in abbandono per valorizzarli e recuperarli, creando orti, piantando alberi ed essenze varie. Gli alberi sono la casa per molti uccelli e sono fonte di biodiversità e di bellezza a pochi passi da noi. Quando piantiamo un albero, quando lo difendiamo dai pericoli e gli evitiamo le ferite che quotidianamente può subire, quando ci rifiutiamo di assistere a sradicamenti o potature selvagge, non stiamo facendo del bene solamente alla natura, ma salvaguardiamo un patrimonio che darà radici più solide e sane al nostro futuro. Iscrivendoti alla Lipu o rinnovando l'iscrizione puoi difendere tutta la biodiversità, non solo gli uccelli e gli animali selvatici, ma anche gli alberi, le piante e gli habitat più preziosi del nostro Paese.

 

Giovedì, 20 Aprile 2017 17:13

Verità e leggende sul barbagianni

Candidi e paffuti, dal piumaggio luminoso e silenziosissimo, i barbagianni sono rapaci notturni estremamente affascinanti, ma il loro aspetto così originale li ha anche resi, nei secoli, oggetto di leggende non sempre lusinghiere. Eppure questi uccelli hanno un ruolo fondamentale in agricoltura, oltre ad essere stati fonte d’ispirazione per generazioni di scrittori e artisti.

I barbagianni sono fra i rapaci notturni e, più in generale, fra gli uccelli più diffusi al mondo, presenti ovunque tranne che in Antartide e riconoscibilissimi per quel loro disco facciale a forma di cuore e per il piumaggio quasi del tutto bianco o chiaro (questo vale in particolar modo per la specie diffusa in Europa, il Tyto alba alba). Originariamente abitavano le cavità e le rocce, ma col tempo capita sempre più spesso di trovarli in campagna, presso soffitte e granai (non a caso in inglese vengono chiamati “barn owls” ovvero gufi dei granai). Vivono da sempre vicino all’uomo e sono spesso vittime di superstizioni e associati a sinistri presagi, soprattutto per via del loro verso prolungato e stridente, molto diverso da quello di gufi e civette.

Barbagianni: storia di un nome

Per secoli non c’è stata una distinzione molto netta fra i barbagianni e gli altri rapaci notturni, tanto che in molte lingue (soprattutto nell’inglese, che usa il generico owl), non esiste un termine specifico per indicarli. La loro classificazione individuale risale al 1769 e si deve al naturalista tirolese Giovanni Antonio Scopoli, che nelle sue Anni Historico-Naturales attribuisce loro il nome scientifico di Strix alba. Studi condotti nei secoli successivi portarono alla differenziazione dei vari generi dei rapaci, dimostrando che i gufi comuni (del genere Strix) sono ben distinti dai barbagianni, i quali finiscono in una nuova categoria denominata Tyto (dalla parola onomatopeica greca per dire “gufo”, τυτώ) con l’attributo alba (dal latino “bianco”) per via del piumaggio candido. Ancora più travagliata è l’origine del nome comune barbagianni, la cui etimologia è tuttora incerta. L’ipotesi più probabile è che l’espressione sia un composto derivante dal latino barba, “peluria”, e gena, “gote”, in riferimento alle piccole piume sparse attorno agli occhi di questi uccelli.

Una cattiva fama: le leggende sui barbagianni

Forse per via del verso misterioso, del piumaggio bianco che li rende presenze “spettrali” nei loro silenziosi voli notturni (o ancora per l’abitudine di frequentare posti abbandonati, a caccia di topi) i barbagianni godono fin dai tempi più antichi di una fama negativa: molte popolazioni li considerano portatori di sventure, incarnazioni di streghe e maghi o veri e propri fantasmi. Spesso individuati con dei nomignoli come “gufo del demonio” o “civetta fantasma”, hanno nei vari secoli corso il rischio di essere sterminati per via di queste superstizioni e leggende. E questo è continuato fino ai giorni nostri: ancora negli ultimi decenni del ventesimo secolo in luoghi come le isole Canarie l’uccisione dei barbagianni ha portato alla riduzione drastica della popolazione locale, ridotta a una dozzina di esemplari.

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Fortunatamente in condizioni favorevoli questa specie riesce a riprodursi con grande velocità e la legge oggi la protegge. Anche nell’italiano di uso comune il barbagianni ha un significato metaforico poco lusinghiero. La Treccani, infatti, attesta il significato di “uomo sciocco e brontolone”, sinonimo di “vecchio barbogio”. Anche qui per via della bianchissima barba. Eppure ci sono anche leggende positive legate a questi particolarissimi rapaci: nelle zone rurali del Sud della Francia, ad esempio, si credeva che il verso di un barbagianni appollaiato sul comignolo di casa preannunciasse l’arrivo di una figlia femmina.

I barbagianni nella letteratura

Se la sua distinzione rispetto alle altre specie di rapaci notturni è avvenuta solo in tempi recenti, non stupisce che abbiamo secoli e secoli di letteratura che parlano genericamente di gufi e civette, ma più raramente di barbagianni. Questi animali, però, negli ultimi decenni sembrano aver attirato l’attenzione di numerosi scrittori che hanno assimilato la loro figura, piena di suggestioni e di contrasti.

Nel 1982 Alberto Moravia pubblica Storie della preistoria, raccolta di racconti con protagonisti animali umanizzati e uno di questi è “Non conviene amare una cicognina”. A dispetto del titolo il protagonista è Barba Gianni, il solitario abitante di un’oscura grotta (dove gli tiene compagnia solo Pipi Strello), che un giorno si innamora di una sinuosa Ci Cognina. Quest’amore si rivelerà però corrisposto solo per un breve periodo e il nostro barbagianni si ritroverà, dopo una cocente delusione, a ritornare alla vita di sempre: “Barba Gianni disse: ‘Beh, vado a prendere un topo, per domani’. Pipi Strello gridò, testa in giù: ‘Come lo faremo?’. Barba Gianni rispose: ‘Al forno;’ e volò via”. Rimanendo in tema di favole e fantasia, i barbagianni non potevano ovviamente mancare nella saga di Harry Potter, che fa grande ricorso a rapaci notturni di ogni tipo, proprio per la loro associazione al mondo della magia. Sia nei libri che nei film compaiono molti barbagianni come “postini” alati che consegnano lettere spesso poco piacevoli: come le minacce ricevute da Hermione ne Il calice di fuoco o la missiva di Arthur Weasley a Harry all’inizio de L’ordine della fenice o le tante strillettere della zia di Neville Paciock. Ed è proprio a un barbagianni che probabilmente Shakespeare si riferisce in alcuni versi della terza parte dell’Enrico VI (atto quinto, scena 4) quando dice: “e chi non voglia combatter per tale speme, se ne vada a letto o, come il barbagianni di giorno in volo, sia oggetto di scherno e meraviglia”. Curioso è notare come questa sia la citazione apposta da Leonardo Sciascia all’inizio del suo romanzo Il giorno della civetta che, quindi, più propriamente, si sarebbe dovuto intitolare Il giorno del barbagianni.

Il barbagianni più famoso nella storia dell’arte

Come già visto, gli inglesi hanno un termine generico per indicare i rapaci notturni, owl, al quale viene associato di volta in volta un attributo. Non stupisce dunque che uno dei più famosi dipinti della pittrice ottocentesca Valentine Cameron Prinsep s’intitoli semplicemente The Owl, sebbene il protagonista sia chiaramente un candido barbagianni. La dama che regge il barbagianni è la pittrice e poetessa Elizabeth Siddal, una delle pochissime artiste donne ad affermarsi nell’Inghilterra di fine secolo, musa dei Preraffaelliti e questo dipinto, Il barbagianni, è una delle espressioni più piene e suggestive di quella corrente artistica. Ancora una volta il barbagianni assume un valore ambivalente: da una parte la sua candida bellezza è rappresentata con estremo e lusinghiero realismo; dall’altra l’associazione con l’eterea donna dai capelli rossi e con la pianta di melograno retrostante richiama un immaginario di morte. La musa ritratta nel quadro non è altro che Elizabeth Siddal, defunta moglie del poeta-artista Dante Gabriel Rossetti.

Ecco perché amiamo i barbagianni

Il simpatico barbagianni scelto come "testimonial" per la campagna 5 per mille della LipuIl simpatico barbagianni scelto come "testimonial" per la campagna 5 per mille della Lipu

Tutta questa lugubre nomea e il sospetto con cui ancora oggi in molti guardano a questi splendidi uccelli non rendono giustizia alla loro grandissima utilità nell’ecosistema agricolo. Essendo un predatore notturno che si nutre principalmente di piccoli mammiferi, infatti, il barbagianni è l’alleato perfetto degli agricoltori in quanto, cacciando topi e talpe, libera i terreni da presenze dannose per le coltivazioni.

Un altro aspetto apprezzabile è che i barbagianni sono rapaci stanziali e abitudinari, ad esempio mantenendo lo stesso partner per tutta la vita e cercandone un altro solo se il primo decede. Una traccia ben riconoscibile per individuare la loro presenza sono le borre, le palline fatte di ossa e piume che rigurgitano dopo essersi nutriti, attorno alla zona in cui risiedono: un segnale inequivocabile per studiosi di rapaci notturni e per gli amanti del birdwatching. Uccelli utili e straordinari, i barbagianni non meritano la cattiva fama costruita e non devono mai essere messi in pericolo per via della superstizione.

Come difendere il barbagianni (e non solo)

La Lipu da sempre ha una grande attenzione per la conservazione dei rapaci notturni. Per difenderli sviluppiamo e sosteniamo azioni volte ad esempio alla messa in sicurezza delle linee elettriche a media e alta tensione e per la diffusione delle buone pratiche agricole. I nostri Centri recupero, da nord a sud d’Italia, li ricoverano perché debilitati, feriti con armi da fuoco o “orfani” di genitori, e non ancora in grado di volare, dando loro le cure necessarie e finalmente la libertà. Possiamo proteggerli e curarli grazie al grande lavoro di volontari e operatori e al sostegno preziosissimo dei nostri Soci e dei donatori. Proteggi il barbagianni e la civetta, l'allocco e l'assiolo: se non ancora già iscritto puoi farlo qui (con una quota a partire da 25€ all'anno), oppure puoi versare il tuo 5 per mille alla Lipu (senza spendere nulla): devi solo annotare il codice fiscale 80032350482 al momento della dichiarazione dei redditi.

Martedì, 27 Settembre 2016 11:58

La cicogna bianca: grande, elegante e maestosa

Grande, elegante, maestosa, il suo nido sui comignoli delle case è considerato da sempre di buon auspicio. La cicogna bianca è uno degli uccelli che meglio rappresentano il legame antico tra l’uomo e la natura. È per questo che noi amiamo le cicogne!

Il collo, il becco e le zampe lunghissime, il piumaggio bianco e nero. E’ praticamente impossibile confonderla quando vola nel cielo di primavera. La cicogna bianca (Ciconia ciconia) è uno degli uccelli più ammirati ed amati dagli uomini di tutti i tempi che l’hanno resa protagonista di fiabe, leggende e persino opere d’arte.

Benvenuta cicogna

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Viaggiatrice instancabile, compie ogni anno viaggi incredibili per arrivare in Europa e fare il nido vicino alle nostre città, in zone agricole aperte, vicino a zone acquitrinose e paludi, su alberi, edifici, rovine, tralicci e strutture artificiali. In molti paesi d’Europa l’arrivo delle cicogne in primavera è da sempre considerato di buon augurio e salutato con feste e cerimonie. In queste occasioni i contadini erano soliti fissare una ruota di carro ad un palo per formare una piattaforma su cui le cicogne potessero fare il nido tranquillamente.

Un nido da record

Paul-Asman-and-Jill-LenoblePaul-Asman-and-Jill-LenobleLe cicogne bianche sono tendenzialmente monogame, questo significa che, una volta formata la coppia, restano assieme per tutta la vita. Il nido della cicogna è spettacolare, può superare i due metri di diametro ed è costruito su pali elettrici, campanili e abitazioni, ogni anno si assiste ad una sola covata di 3-6 uova. La schiusa ha luogo dopo circa un mese e i giovani lasciano il nido dopo circa 8-10 settimane, mentre per cominciare a riprodursi devono aspettare fino ai 4 anni di età. Le Cicogne tornano a nidificare ogni anno nello stesso posto, ci sono addirittura casi di nidi utilizzati in modo continuo da centinaia di anni.

Il mito della cicogna nell’antichità

cicogna-(di-Dornenwolf-CC-BY-SA-2.0)cicogna-(di-Dornenwolf-CC-BY-SA-2.0)Nell’antica Grecia la cicogna era uno dei simboli della dea Giunone. Nonostante le cicogne biache abbiano una dieta molto ampia (che comprende cavallette, lombrichi, pesci, rane, ma anche volte semi, bacche, lucertole e persino roditori) la convinzione era che esse si nutrissero esclusivamente di serpenti, e per questo erano considerate sacre. Plinio il Vecchio, nella sua "Storia naturale", racconta che in Tessaglia veniva messo a morte chiunque fosse sorpreso a uccidere una cicogna. Sembra che anche gli antichi egizi adorassero le cicogne, credendo che queste si prendessero cura dei propri genitori ormai anziani. Dall’Asia all’Europa, passando per il Medio Oriente, la cicogna fin dalla notte dei tempi è simbolo dell’amore tra genitore e figli.

Perché si dice che le cicogne portano i bambini?

Barry-BadcockBarry-BadcockUna delle credenze più diffuse sulle cicogne è che queste portino i bambini. Ancora oggi la cicogna in volo, con un fagottino legato al becco, è una delle immagini ricorrenti sui biglietti di auguri alle neomamme. La spiegazione è molto semplice: un tempo, nelle case in cui era appena nato un bambino, veniva acceso il fuoco nonostante fosse già primavera, per tenere il piccolo più al caldo. Il comignolo caldo attirava le cicogne, che dunque sceglievano proprio quella casa per fare il nido.

La cicogna nelle fiabe

(Rene-Mensen-CC-BY-2.0)(Rene-Mensen-CC-BY-2.0)
Molto prima di diventare la messaggera delle nuove nascite, la cicogna bianca è stata amata dall’uomo per il suo carattere mite e per questo nelle favole è spesso rappresentata come l’animale credulone, vittima degli scherzi e degli inganni degli altri. In una celebre fiaba di Esopo, la cicogna è invitata a pranzo da una volpe che si burla di lei servendo una zuppa in un grande piatto così che il povero uccello non riusciva a bere dal lungo becco. Ecco allora che la cicogna si vendicherà con una cena servita in vasi lunghi e alti, lasciando la volpe a bocca asciutta.

La cicogna nell’arte

Nell’arte, la cicogna è stata utilizzata per raffigura la virtù della pazienza e come simbolo di Cristo che scaccia il male (così come la cicogna divora i serpenti). Una delle immagini più curiose della cicogna bianca si trova nella “Sala del silenzio” dei Palazzi Vaticani: la cicogna ha un uovo in bocca e, proprio per portare a termine questo compito importante, non può permettersi di aprire la bocca per cantare. Che dire? Una bella lezione da imparare! Per tutti questi suoi attributi positivi, la cicogna è stata ampiamente utilizzata in araldica negli stemmi di famiglie nobili e città. Ancora oggi, ad esempio, svetta nello stemma dell’Abbazia di Chiaravalle e della città di Cerignola (Foggia). Una curiosità: quando la cicogna reca nel becco un rametto di origano rappresenta la guarigione ed è per questo che la troviamo nello stemma della Facoltà di Medicina di Parigi.

Cinque secoli senza cicogne in Italia

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In Italia la cicogna bianca nidifica fin dai tempi dell’antica Roma e già Virgilio e Ovidio raccontano dei nidi di cicogna che sorgevano sugli imponenti edifici della grande capitale dell’Impero. La cicogna bianca scompare dai cieli italiani nel XV secolo, probabilmente a causa di vari fattori primo tra i quali la modifica degli habitat naturali. Il suo lento ritorno comincia solo nel secondo dopoguerra, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso.

La Lipu aiuta le cicogne

cicogna Lennart Tangecicogna Lennart TangeNel 1985 viene inaugurato a Racconigi, in Piemonte, il primo “Centro Cicogne” d’Italia. Grazie a vari progetti di restocking (reintroduzione controllata) a partire dal 1988, il numero di coppie di cicogne che decidono di fare il nido in Italia aumenta progressivamente e in modo costante. Nel 2003, la delegazione Lipu di Rende (Cosenza) lancia in Calabria il "Progetto Cicogna bianca", che consiste nell’installazione di decine di piattaforme per consentire alle cicogne di nidificare sui pali elettrici in assoluta sicurezza, prevenendo gli incidenti dovuti a folgorazione. Anche grazie a questo splendido progetto, dal 2003 ad oggi oltre oltre 500 cicogne bianche sono nate in Calabria. Quest’anno da 22 coppie sono nati 74 giovani: un bilancio positivo rispetto al 2017 con una coppia e un nato in più, anche se non tutti i giovani sono riusciti a involarsi.

Giovani volontari per proteggere la cicogna bianca

Curiosità: la colonia spontanea di cicogne più grande d'Italia si trova in Sicilia, a Gela. Nel 2011 la Lipu ha monitorato nella Piana di Gela 40 coppie, accertando la nascita di 70 nuovi esemplari. Oggi la cicogna bianca nidifica in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna e ha ormai superato le 300 coppie nidificanti stabili, anche grazie ai progetti della Lipu e al prezioso lavoro dei suoi volontari nel monitorare questi splendidi uccelli.

Oggi la cicogna bianca nidifica in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna e ha ormai superato le 300 coppie nidificanti, anche grazie ai progetti della Lipu e al prezioso lavoro dei suoi volontari di monitoraggio. Proprio in questi giorni i ragazzi del progetto Life Choose Nature, promosso dalla Lipu con l’Unione Europea, giovani volontari degli European Solidarity Corps, sorvegliano i nidi delle Cicogne in Lombardia, Calabria e Sicilia per permettere a questi maestosi animali di riprodursi al sicuro.

Un corpo piccolo e tozzo, con una testolina tonda dal becco sottile e la caratteristica “mascherina” nera, si aggira veloce tra le dune delle spiagge italiane.

Avvistare un fratino è un buon segno: significa che ti trovi in un ambiente in buona salute. Impariamo a conoscere meglio il fratino.

Il fratino è un piccolo limicolo giramondo

Il fratino (Charadrius alexandrinus) è un piccolo limicolo, ovvero una di quelle specie che vivono principalmente in ambienti umidi caratterizzati dall’acqua bassa e si nutrono di diverse specie di invertebrati che si trovano nel limo.

Fratino - foto di Roberto SauliFratino - foto di Roberto SauliPer questo motivo non è difficile vederlo d’estate sul bagnasciuga delle spiagge italiane, ma è altrettanto facile avvistarlo in luoghi “esotici”, dall’Africa all’Asia, dalle coste dell’Andalusia in Spagna fino al lontano Giappone.

E’ un fratino o un corriere piccolo?

Ami la natura?Se ti piace immergerti nello spettacolo di un volo o osservare gli uccelli tra i rami, puoi conoscere sempre di più sul loro mondo. Come stanno le rondini, i falchi, le cicogne? Scoprilo iscrivendoti alla Lipu con 25 euro e aggiungendo una donazione a partire da 30 euro. Riceverai il nuovo affascinante libro "Conoscerli, proteggerli", frutto di oltre 10 anni di studio su 250 specie che nidificano in Italia.

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Riconoscere il fratino è veramente facile anche per i birdwatchers alle prime armi. Questo, grazie alla silhouette caratteristica e alle inconfondibili macchie nere ai lati del petto e tra becco e occhi, che conferiscono nel maschio un tipico aspetto con “mascherina”.

Tuttavia, il fratino può essere scambiato facilmente con il corriere piccolo (più difficilmente con il corriere grosso). Per distinguere le due specie basta osservare le zampe, che nel fratino sono più lunghe e nere, così come nerissimo è il becco.

Fratino in volo - foto Carlo Alberto ContiFratino in volo - foto Carlo Alberto Conti

Il suo richiamo è un limpidissimo “djit”, sebbene sia anche in grado di emettere acuti fischi di allarme soprattutto se ci si avvicina troppo al suo nido.

Un uccello leggendario

Il fratino fa parte della famiglia Charadriidae come corrieri, pivieri, pivieri tortolini e pavoncelle. Una famiglia che prende il suo nome dal leggendario Caradrio, un uccello bianco che secondo gli antichi greci visitava solo i giardini dei re. Platone parla del Caradrio come di un uccello ingordo a cui vengono paragonati gli uomini alla ricerca continua del piacere. 

Il Caradrio aveva anche poteri magici di guarigione: se posato sul letto di un malato poteva guarirlo anche da una malattia mortale, assorbendo tutte le cattive influenze per poi volare verso il sole, bruciandole.

A colazione con il fratino

Il segreto dell’alimentazione del fratino sta tutto nel limo, il fango del bagnasciuga e delle zone di acqua bassa costiere. E’ qui, in questo terreno ricco di vita, che il fratino trova il suo cibo preferito: piccoli invertebrati che ricerca sul terreno sabbioso.

Roberto SauliRoberto Sauli

Osservare il fratino in alimentazione è un momento molto interessante per ogni birdwatcher e può svelare molte curiosità sulle abitudini di questa bellissima specie. Attenzione, però: durante il periodo riproduttivo, che va da marzo a luglio, meglio non avvicinarsi troppo, per non disturbare la specie nel momento più delicato dell'anno, con il rischio di far perdere la nidiata alla specie.

Il nido del fratino

Il fratino durante il periodo riproduttivo é solitario e territoriale, spesso anche aggressivo: tutto per difendere il nido. Per fare il nido sceglie suoli salini e fangosi con poca vegetazione, vicino all’acqua ma al riparo da possibili inondazioni, come le dune più selvagge delle nostre spiagge o a volte addirittura in quelle più affollate! Il nido del fratino non è molto elaborato, un semplice buco nella sabbia, che ospita di solito tre-quattro uova. Appena nati, i pulli hanno l’abitudine di uscire rapidamentee dal nido, il che spiega l’aggressività dei genitori nei confronti di chi si avvicina al nido, poiché devono proteggere la propria prole dai tanti predatori naturali.

Il fratino è segnale di una spiaggia pulita

Il fratino è il simbolo dello stretto legame tra le abitudini dell’uomo e i delicati equilibri della biodiversità. Se una spiaggia è in cattivo stato di conservazione, inquinata e degradata, oppure livellata dalle ruspe (come nel recente caso di Marina di Albarese nel parco regionale della Maremma) che cancellano le dune e la vegetazione spontanea, difficilmente sarà visitata da questo splendido piccolo trampoliere. Al contrario, la presenza di un nido di fratino è sempre un ottimo segnale dello stato di salute di un ambiente marino e di una spiaggia correttamente tutelata e conservata.

Fratino - foto Roberto SauliFratino - foto Roberto SauliLa Lipu da sempre ha una grande attenzione per la conservazione di questa specie. Inoltre nei nostri Centri recupero arrivano soprattutto in periodo estivo alcuni individui di questa specie che vengono soccorsi perché feriti, debilitati o non ancora in grado di volare. Possiamo proteggerli e curarli grazie al lavoro dei nostri volontari e operatori e al sostegno dei Soci Lipu e dei donatori.

 

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il fratino

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