Io sono il lupo! Sono il signore delle selve e dei grandi spazi, dove l’erba sussurra al vento invernale e il cielo riflette fra gli alberi una luce densa di ombre.
Sono il protagonista delle fiabe e delle leggende, il temibile lupo dalla folta pelliccia, i denti ferini e i gialli occhi obliqui.
Sono colui che nelle notti stellate si accovaccia sul terreno col muso puntato alla luna, per lanciare il lamentoso richiamo ai fratelli.
Sono lo spirito libero delle foreste che corre silenzioso sulla neve e sa affrontare la fine della sua vita con fierezza.
Io e l’uomo siamo nemici millenari. L’uomo mi ha cacciato da sempre, per la mia pelliccia e le mie ossa, per proteggere le greggi e per timore ancestrale. Da secoli combattiamo ad armi impari e spesso sono io che devo soccombere.
Eppure, stavolta, io devo la mia vita all’uomo!
Con questa storia che sto per narrarvi sono stati riscattati secoli di ingiustizie e di sangue.
Quella notte mi ero allontanato dal branco e stavo vagando nella boscaglia, fiutando al mio passaggio le cortecce degli alberi, che mi trasmettevano gli odori della foresta; avevo lasciato la mia compagna, mentre stava allattando i cuccioli nati in primavera e non ancora svezzati, che si arrampicavano sulla nostra pelliccia con guaiti di stupore e facevano le capriole con buffe smorfie del musetto e finti ringhi di collera. Io di solito tolleravo quella scalata invadente sul mio ruvido mantello, ma quella sera ne avevo avuto abbastanza!
Così mi sollevai sulle quattro zampe, scrollandomi di dosso i cuccioli che protestarono con uggiolii lamentosi. La mia compagna mi lanciò uno sguardo di riprovazione, al quale risposi con un’occhiata ferma e un breve ringhio che significava, in lingua lupesca:
«Mi sto allontanando per qualche tempo, bada tu ai piccoli!»
Lasciai il branco – una decina di individui in tutto, tra adulti e giovani – accucciato sullo strato rossastro di foglie secche e il muschio del sottobosco; nella mattinata avevamo cacciato e ucciso un cerbiatto che si era isolato dal gruppo, e non avevamo fame. Sentivo la necessità di bighellonare in santa pace, lontano dai latrati acuti dei cuccioli e dai ringhi sommessi dei miei compagni, poi sarei tornato.
La notte era fonda, priva del chiarore lunare perché l’astro era celato da uno strato di nuvole, che spegneva lo scintillio delle stelle.
Io sono un lupo!
Amo correre nel buio, sentendo sotto le zampe il fresco della terra e i sassi che rotolano, fiutando l’aria limpida della montagna. Al mio passaggio lascio un’aura di gelo che fa rintanare le lepri e i conigli dentro le tane e gli uccelli tacciono. Solo i gufi e le civette fanno udire a tratti il loro richiamo gutturale, fissandomi dall’alto dei rami coi loro occhi enormi e iridescenti.
Procedevo nella notte, senza timore e senza rallentare la corsa.
A un tratto intravidi la sagoma scura di due alberi dai tronchi massicci, posti l’uno di fronte all’altro in modo tale che bisognava passarci in mezzo. I cespugli laterali erano intricati e pieni di spine, troppo alti per superarli con un balzo. Ignaro della trappola, mi lanciai attraverso lo stretto passaggio.
Un dolore acutissimo ai lombi, un guaito di dolorosa sorpresa, e qualcosa che mi bloccava, spezzando la corsa...
Mi ritrovai rovesciato sul dorso e aggrovigliato in una sorta di laccio metallico che, a ogni mio sforzo per liberarmi, entrava dentro le mie carni, che in quel punto delicato del basso ventre erano prive della protezione della spessa pelliccia. Mi dimenai come un ossesso, ululando la mia rabbia e il mio dolore alla nera notte senza stelle, che si era rinchiusa sulla mia anima (...)
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L’autrice, che ringraziamo, devolve il 50% dei proventi dei diritti d'autore al Centro recupero fauna selvatica Lipu di Roma.
