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Stop al progetto "Offshore Ibleo"

Stop al progetto "Offshore Ibleo" Angelo Scuderi
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La richiesta di associazioni e amministrazioni è rivolta al Tar: sospendere il progetto "Offshore Ibleo"

Anci Sicilia, Comune di Licata, Comune di Palma di Montechiaro, Comune di Ragusa, Greenpeace, Lipu, Touring Club Italiano e Wwf hanno presentato al Tar del Lazio un ricorso aggiuntivo contro il progetto “Offshore Ibleo” di Eni e Edison, chiedendo una immediata sospensiva dell’autorizzazione emanata dal Ministero dello Sviluppo Economico e, quindi, il rigetto di un progetto che si basa su una procedura di valutazione del rischio che, ad avviso dei ricorrenti, è monca, pericolosa e inaccettabile.

La concessione G. C1-.AG, progetto “Offshore Ibleo” di Eni e Edison, prevede otto pozzi, di cui due “esplorativi”, una piattaforma e vari gasdotti al largo della costa delle province di Caltanissetta, Agrigento e Ragusa. Numerose associazioni e comuni, e la stessa Anci Sicilia, hanno già presentato un ricorso contro il parere positivo dato dal Ministero dell’Ambiente sulla Valutazione dell’Impatto Ambientale, ma il Ministero dello Sviluppo Economico ha comunque concesso l’autorizzazione conclusiva al progetto, che oggi amministratori locali e associazioni impugnano al Tar.

Mentre nel Paese montano le proteste contro gli appetiti petroliferi del nostro governo, almeno sei regioni (Abruzzo, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto) hanno dichiarato di presentare ricorso contro l’articolo 38 del decreto Sblocca Italia, convertito nella Legge 164/2014. Il ricorso è un contributo alla lotta di chi si oppone al far west petrolifero italiano.

«La rivolta dei territori e delle categorie economiche, come pesca e turismo, minacciate dalle trivelle è un segnale che il nostro governo non può ignorare: altro che “comitatini”, nei territori si sta consolidando una diversa prospettiva di crescita e sviluppo», dichiarano le associazioni.

I proponenti il ricorso, come migliaia di altri cittadini che hanno firmato appelli contro le trivelle, ritengono che non si debbano mettere a rischio hot spot di diversità biologica come il Mediterraneo in generale, e il Canale di Sicilia in particolare. È scandaloso che dagli studi di impatto ambientale redatti dai petrolieri scompaia il valore della biodiversità e che chi ci governa non sappia comparare gli scarsi benefici, e i molti rischi, che derivano dall’estrazione di idrocarburi, con il valore aggiunto e le ricadute sociali di attività come la pesca e il turismo, senza considerare poi le conseguenze sanitarie della filiera del petrolio, tristemente evidenti in realtà (per limitarsi alla Sicilia) quali Gela e Augusta.

Infine, i proponenti rilevano come la Sicilia, l’Italia e il Mediterraneo nel suo complesso siano in prima linea tra le aree maggiormente interessate dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Stimolare le estrazioni di idrocarburi, piuttosto che investire in efficienza energetica e fonti rinnovabili pulite, è semplicemente suicida: il 2014, ormai è certo, è stato l’anno più caldo da quando le temperature vengono registrate. Gli effetti del cambiamento climatico sono evidenti nel nostro Paese, con costi economici rilevanti per la nostra agricoltura (si pensi alla crisi della produzione dell’olio d’oliva) e un intollerabile tributo di vite umane dovuto a eventi meteo estremi, amplificati da un territorio sempre più fragile. Adattarsi al cambiamento climatico puntando sul consolidamento e sulla manutenzione dei nostri territori, puntare alla tutela del paesaggio e delle risorse naturali, investire su metodi innovativi e puliti per le produzione e la distribuzione dell’energia sono le vere sfide di un Paese che guarda avanti.
 

Lunedì, 12 Gennaio 2015 18:45

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