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Giornata mondiale dell'acqua: garantire la salute dei fiumi italiani

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Nella Giornata Mondiale dell’Acqua 2022 le associazioni impegnate nella difesa dei fiumi italiani rilanciano il tema della buona gestione delle risorse idriche evidenziando le linee d’azione da seguire per migliorare lo stato di salute degli ecosistemi acquatici

 

La Giornata Mondiale dell’Acqua 2022 è l’occasione per sottolineare, ancora una volta, l’urgenza di un’inversione di tendenza nella gestione delle risorse idriche in Italia. Non è nemmeno necessario “rendere visibile ciò che è invisibile” – il messaggio che le Nazioni Unite lanciano quest’anno per evidenziare l’importanza delle acque sotterranee – perché le criticità che affliggono fiumi e laghi italiani sono da tempo sotto gli occhi di tutti, così come ampiamente note, ma sistematicamente disattese, sono le linee d’azione da seguire per migliorare lo stato di salute degli ecosistemi acquatici.

L’esteso e spesso inutile ricorso a opere di difesa “grigie”, un approccio miope nella “manutenzione” dei corsi d’acqua, l’eccesso di prelievi idrici hanno portato all’eliminazione o la riduzione degli habitat, alla cancellazione dei processi ecosistemici, a profonde alterazioni delle morfologie fluviali. Questo ha negli anni incrementato la fragilità del territorio e fortemente compromesso la capacità dei corpi idrici di svolgere funzioni di primaria importanza quali la ritenzione di nutrienti e l’autodepurazione, la ricarica delle falde acquifere, il supporto della biodiversità, il trasporto di sedimenti per garantire un giusto equilibrio del rapporto mare-costa, la creazione di valore estetico e di opportunità di fruizione.

Le risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la “transizione verde” dovrebbero costituire un’importante occasione per invertire la rotta, come esplicitamente richiesto al Governo dal Parlamento italiano, investendo per restituire spazio ai corsi d’acqua, ripristinare gli ecosistemi, incrementare la resilienza dei sistemi idrografici, un elemento imprescindibile per una efficace strategia di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro Paese. Al di là del grande progetto di ripristino ambientale sul fiume Po, tuttavia, il rischio concreto è che questi fondi vengano utilizzati solo per nuove opere e per un’ulteriore artificializzazione dei corsi d’acqua, un uso che non sarebbe in alcun modo coerente con gli obblighi nazionali e comunitari. È quindi urgente che il Governo adotti una strategia chiara e adeguata alle sfide in gioco.


In questo percorso è utile concentrarsi su alcune priorità.

 

Il ripristino della connettività dei corsi d’acqua, uno dei principali obiettivi della Strategia UE sulla Biodiversità per il 2030, che richiede espressamente di realizzarla in almeno 25.000 km di fiumi in Europa. I corsi d’acqua italiani sono ampiamente frammentati e la loro continuità è spezzata da decine di migliaia di opere idrauliche, molte delle quali non più funzionali o necessarie, ma che alterano drammaticamente gli equilibri ecologici e morfologici. Dighe, briglie, traverse di derivazione, tombamenti bloccano la migrazione della fauna, in primo luogo dei pesci, interrompono il trasporto dei sedimenti, creando deficit a valle, quindi incisione degli alvei, abbassamento delle falde, erosione costiera, perdita delle forme naturali dei fiumi e degli habitat che queste sostengono. Argini e difese spondali canalizzano gli alvei, isolano i corsi d’acqua dall’ambiente circostante, con perdita di habitat e specie, ma anche di capacità di laminazione naturale delle piene. In molti altri Paesi europei esistono da tempo programmi di intervento e sono stati già realizzati migliaia di interventi di eliminazione di sbarramenti mentre in Italia i casi di rimozione di opere si contano ancora sulle dita di una mano. Serve con urgenza un programma nazionale di ripristino della connettività fluviale. Inoltre, i fondi per la difesa delle alluvioni devono concentrarsi sugli interventi integrati, che restituiscano spazio ai fiumi, riducendo il rischio e al contempo migliorando gli ecosistemi.

La tutela della biodiversità degli ambienti acquatici. La maggior parte degli ecosistemi a elevato rischio censiti di recente nella Lista Rossa degli Ecosistemi d’Italia sono legati alle acque dolci, così come la sopravvivenza di molte specie a rischio d’estinzione in Italia dipende dalla qualità di fiumi, laghi e altre zone umide. In generale le trasformazioni dei sistemi ecologici acquatici – originate sia dall’artificializzazione dei territori che da scellerate pratiche di supposta “messa in sicurezza”, quali il taglio sistematico della vegetazione riparia – hanno determinato un forte impoverimento della loro funzionalità ecologica, con effetti fortemente negativi sulla biodiversità. Questo vale sia per habitat e specie ripariali che per quelli più strettamente legati all’acqua. Un’attenzione particolare merita la fauna ittica, fortemente minacciata dalla presenza di specie aliene. Suscitano quindi una forte preoccupazione i recenti provvedimenti di alcune amministrazioni regionali e provinciali per consentire, nuovamente, l’immissione di fauna ittica alloctona a nei territori di loro competenza, in assenza di una sufficiente valutazione dei rischi che tali iniziative possono causare sulla conservazione delle popolazioni di specie autoctone, come la trota marmorata o il temolo adriatico, ormai sull’orlo dell’estinzione.

Il rispetto di un adeguato deflusso ecologico, un passaggio fondamentale per raggiungere gli obiettivi della Direttiva Quadro sulle Acque, ancora molto lontani (solo il 43% dei fiumi e il 20% dei laghi raggiungono l’obiettivo di qualità “buono” per lo stato ecologico). L’alterazione del regime idrologico è una delle principali cause di deterioramento del reticolo idrografico, per buona parte dell’anno in molti corsi d’acqua resta il 10% (o a volte anche molto meno) della quantità di acqua che naturalmente vi dovrebbe scorrere. A questo si aggiungono frequenti deroghe e una diffusa carenza di controlli sull’effettivo rispetto della norma. Il 2022, dopo una lunghissima attesa, dovrebbe vedere l’applicazione di nuovi obblighi, (lievemente) migliorativi per gli ecosistemi acquatici. Ma un’ampia parte del mondo agricolo e degli utenti idroelettrici sta adoperandosi con ogni mezzo per contrastarne l’attuazione, chiedendo deroghe e proroghe a priori e attaccando frontalmente l’impianto stesso della normativa europea per la tutela delle acque. E puntando in parallelo sulla realizzazione diffusa di nuovi invasi, una soluzione miope e limitata, che porterebbe a ulteriori impatti sui corridoi fluviali. È invece necessario limitare la domanda irrigua, anche con estesi cambi colturali, migliorare la salute dei suoli, incrementandone la capacità di ritenzione idrica, garantire la ricarica delle falde e in generale fare ricorso a soluzioni più innovative e integrate, capaci di migliorare la qualità del territorio e di fornire importanti servizi ecosistemici. La piena attuazione delle norme sul deflusso ecologico non può essere ulteriormente dilazionata e, contrariamente a quanto sostenuto da certi rappresentanti del mondo agricolo, può essere realizzata tenendo in considerazione tutte le peculiarità del contesto italiano o regionale.

Mitigare gli impatti della produzione di energia idroelettrica è un’altra priorità, in parte connessa alla precedente, ma che include diverse altre azioni, che spaziano dalla gestione dei sedimenti negli invasi, alla riduzione dell’hydropeaking, alla manutenzione dei passaggi per pesci. Il rinnovo delle grandi concessioni, in particolare, sarà un passaggio cruciale per investire nel miglioramento ambientale di impianti che se da un lato sono di importanza strategica per la produzione di rinnovabili, dall’altro sono uno dei principali responsabili del degrado degli ecosistemi fluviali. È poi fondamentale che il Governo sostenga chiaramente che non c’è più spazio per nuovi impianti nei corsi d’acqua naturali. In Italia sono già presenti oltre 4500 centrali idroelettriche, ma la produzione è sostenuta in gran parte da un ristretto numero di grandi impianti. Il contributo strategico che ulteriori piccoli impianti ad acqua fluente, dopo le migliaia realizzate nell’ultimo decennio creando impatti diffusi in moltissimi piccoli corsi d’acqua, possono fornire è trascurabile. Gli incentivi e le facilitazioni per questi nuovi impianti non hanno più senso di esistere, ulteriore produzione idroelettrica può avvenire all’interno delle reti artificiali, come fognature ed acquedotti, e migliorando l’efficienza degli impianti esistenti.

(Comunicato congiunto di: Cirf - Free rivers, Legambiente, Lipu, WWF Italia)

Martedì, 22 Marzo 2022 14:08

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