Lipu Onlus, natura, uccellie animali selvatici in Italia

I Giusti

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Operano in silenzio, spesso in segreto, contribuendo al miglioramento della società e alla difesa del bene comune. Sono fondamentali per la protezione della natura perché aiutano la causa e rappresentano un esempio positivo, che si propaga. La Lipu ne è piena (soci, donatori, volontari) e può vincere soprattutto grazie a loro

La signora Olga Owens Huckins viveva in una piccola oasi naturale a Duxbury, nel Massachusetts. Un santuario per uccelli selvatici gestito con passione quotidiana: cibo nelle mangiatoie, acqua negli abbeveratoi, cura della vegetazione, un’attenzione costante ripagata dall’arrivo dei piccoli uccelli canori, a primavera, e dal tripudio di canti, voli, gioia, che portavano con sé. Poi, a un certo punto, il silenzio. Gli uccelli erano spariti, non tornavano più. Così, nel gennaio del 1958 la signora Huckins scrisse alla biologa Rachel Carson, già nota negli Stati Uniti per un libro di successo sul mare e, in genere, per il suo amore per la natura. «Gli uccelli hanno smesso di cantare, la primavera è diventata silenziosa. Può fare qualcosa?».

Nel mio giardino il mondo intero

Mai, la signora Huckins, avrebbe potuto immaginare gli effetti dirompenti di quella lettera. Ricevuta la missiva, Rachel Carson cominciò a studiare il caso, a scoprirne di analoghi, a decine, in tutti gli Stati Uniti, e infine a svelare la relazione che dal Ddt, copiosamente diffuso sui campi agricoli o sulla vegetazione urbana e assorbito dagli insetti, portava all’avvelenamento dei piccoli uccelli che di quegli insetti si nutrivano. Una filiera mortale, denunciata da Rachel Carson nel leggendario Primavera silenziosa, un libro (1962) che con la forza di un ciclone si abbatté sull’industria agricola e in genere sulla cultura mondiale, almeno in parte, trasformandole.

La storia dell’ambientalismo moderno nacque lì, dall’azione di scienza e coraggio di Rachel Carson ma prima ancora - e questo è il punto che ci interessa - da quella semplice lettera, scritta per mano della sconosciuta signora Olga da un giardino sperduto del New England. Un giardino di cui Olga si prendeva cura come fosse il mondo intero.

Quasi in segreto

Nel mondo ci sono i leader, i personaggi famosi, i trascinatori di folle, e poi ci sono le Olga Huckins. Persone che operano in silenzio, in solitaria, quasi in segreto, per il bene comune. Un’opera non priva di eroismo, perché quasi sempre gli eroi agiscono da soli, e talvolta segnata anche da un tratto di tragico, perché la missione dell’eroe (se pure in questa forma particolare dell’antieroe, della persona qualunque) porta a vivere su sé stessi, sul proprio corpo, nella propria anima, anche la drammatica difficoltà di certe imprese. Ma soprattutto, un’opera convinta, che ha la forza di una goccia che scava e la serenità di chi sa bene di essere nel giusto e di fare il giusto.

Jorge Luis Borges, il grande scrittore e poeta argentino, in una poesia davvero universale, chiama queste persone proprio così: “i giusti”. Leggiamola, la poesia di Borges. Lo merita e darà un aiuto al nostro ragionamento.

Chi sono i giusti?

«Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire / Chi è contento che sulla terra esista la musica. / Chi scopre con piacere un'etimologia. / Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi. / Il ceramista che premedita un colore e una forma. / Il tipografo che compone bene questa pagina, che forse non gli piace. / Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. / Chi accarezza un animale addormentato. / Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto. / Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. / Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. / Queste persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo».

 

Chi sono, secondo Borges, i giusti? Cosa intende dirci lo scrittore argentino con questo splendido quadro? Almeno tre cose: 1) i giusti sono coloro che fanno il proprio dovere, coltivano convintamente una virtù senza tentennare; 2) i giusti sono coloro che fanno alcune cose e non altre: accarezzare un animale che dorme non equivale a maltrattare un animale. E così curare il giardino, vivere la letteratura, promuovere la tolleranza, preoccuparsi per gli altri, amare la natura. Come dire: non tutte le etiche sono uguali, non tutte le cose che facciamo o possiamo fare sono giuste; 3) i giusti sono, per l’appunto, persone qualunque. Non eroi da copertina, non figure eccezionali ma donne e uomini semplici che, consapevoli o meno, dedicano la propria vita a fare cose buone. Parafrasando (e capovolgendo) una storica definizione di Hannah Arendt, sono la semplicità del bene. La microfisica del bene.

Teoria del balcone fiorito

Alberto è un architetto di mezza età. Lavora tutti i giorni fino a tarda sera, tranne che un’ora pomeridiana, quando, rimboccatesi le maniche, prende un grande innaffiatoio di alluminio ed esce, per dare acqua alle aiuole del quartiere che lui stesso ha creato. Pian piano, la base spoglia degli alberi ingrigiti dallo smog si è animata di piantine e colori. Una dopo l’altra, le aiuole sono fiorite, formando tra loro una sorta di rete invisibile, una sinfonia di cordiale natura cittadina. Il volto del quartiere si è ingentilito. «Lo faccio - dice Alberto - perché questo è il posto in cui vivo, queste sono le strade che attraverso io e attraversano i miei figli. Lo faccio perché voglio che anche gli altri vivano in un luogo più bello».

L’azione di Alberto è stata contagiosa. Ad Alberto è seguita Paola, e poi Teresa, e poi un’intera famiglia del terzo piano, e poi un gruppo che si è chiamato “ll team della domenica mattina”, e poi tanti altri. E così in altri quartieri e in altre città, ognuno con il suo Alberto, la sua Teresa, la sua Olga Huckins. Gli orti urbani hanno preso il posto del degrado, gli alberi schiacciati dalle lamiere sono tornati a respirare, nidi artificiali e mangiatoie hanno fatto capolino sui rami. I balconi sono fioriti. Ecco, i balconi, le finestre. L’interfaccia della gente sulla società.

Se sono tutti spogli, resteranno tutti spogli. Ma se qualcuno fiorisce, fioriranno anche gli altri (e se non accade subito, non importa). Il vuoto sarà progressivamente riempito. Il grigio cederà il posto a un colore. Le passioni tristi si riscalderanno. E nella società del rancore, che domina le nostre esistenze sociali, finalmente si aprirà una crepa.

Ricette contro il rancore

In un illuminante saggio appena pubblicato dal titolo La notte di un’epoca, il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii, cerca di dare una risposta a un problema di cui il centro per gli studi sociali (che ogni anno pubblica un rapporto sullo stato sociale del Paese) si occupa ormai da qualche anno: lo sfaldamento sociale del nostro mondo. Il raffreddamento della società, il suo ripiegarsi su sé stessa per dar vita, appunto, a un sistema del rancore. La tesi di fondo del Censis, del tutto condivisibile, è che la crisi economica che da tempo attanaglia l’Italia (e non solo) non è la sola causa, e forse nemmeno la vera causa, del malessere del Paese La sofferenza è soprattutto morale.

È la perdita di senso, di ragioni, di valori, di grandi obiettivi e ideali. È anche la perdita delle relazioni, sostituite da una società molecolare in cui le persone si chiudono in sé stesse, smettono di credere in un miglioramento, smettono di agire. «Le feste di Natale fanno esplodere il mio dolore, di solitudine e disincanto. Non credo più nella società », ha scritto una persona nella lettera ad un settimanale. La soluzione a questo problema vasto e profondo, dice Valerii, passa anche dal metterci in gioco, dall’esempio significativo che possiamo dare. Passa dalla speranza, non come semplice anelito ma come pratica, come esercizio. Passa dall’altruismo, dalla generosità. In tal senso, le analisi annuali in tema di filantropia e donazioni svolte da Gfk Eurisko per l’Istituto italiano delle donazioni, fanno emergere che la funzione delle donazioni non è solo quella, importantissima, di dare soluzione a specifici problemi (ambientali, sociali eccetera) ma anche quella, altrettanto rilevante, di rafforzare il senso di solidarietà, il legame tra le persone, la generosità come modo di tessere una nuova tela sentimentale. Un rimedio contro i problemi specifici ma anche contro la freddezza, l’isolamento, la disillusione. Una vera ricetta per curare il rancore.

Il cuore della Lipu

Di queste storie, cioè storie di giusti, la Lipu è piena.

Lo è stata sin dal 1965, con la generosità senza fine del suo fondatore, Giorgio Punzo, che sacrificò l’intero patrimonio per il bene della natura, e lo è oggi, con i 33mila soci e donatori che rappresentano il cuore dell’associazione e mai mancano di essere presenti, anche, soprattutto nei momenti più difficili. Gabriella, che ha acquistato per la Lipu uno stagno per gli uccelli migratori; Elda e Luciano che l’hanno continuamente resa più forte; Adriana, che con la sua grande donazione permetterà la costruzione di una “Casa della Lipu” e il forte sostegno ad oasi e centri; Daniela, che ci ha lasciato in eredità una splendida tenuta nel centro Italia; e poi Domenico, Luigi, Claretta, Anna, Mario, Clemente, Carmela, i soci della Lipu Uk e tanti altri, impossibili da citare tutti, come meriterebbero. Piccoli e grandi gesti, piccoli e grandi doni, un grande aiuto, sempre. E poi gli oltre mille volontari che ogni anno dedicano all’associazione 200mila ore di impegno, nei centri recupero, nelle oasi, nelle delegazioni, per le strade, nella lotta al bracconaggio e alle illegalità, nella promozione culturale, contribuendo in modo collettivo o solitario al perseguimento della missione, senza stancarsi e senza temere di essere “troppo piccoli per fare la differenza”.

Microfisica della natura

Può, allora, l’impegno individuale, fare la differenza? Certamente sì. Anzi, l’impegno individuale assume oggi una valenza speciale di fronte alle difficoltà vissute da qualsiasi governo o amministrazione pubblica, in una situazione di generale e quasi totale ingovernabilità. Non c'è governo o amministrazione, oggi, in grado di salvare da solo un territorio, una città, uno Stato, senza il supporto atomico dei cittadini. La qual cosa non deve certo rappresentare un alibi per la politica, né esimerla dal diventare migliore (al contrario, è urgente che accada), ma rappresenta una precondizione per il cambiamento. Responsabilità individuale, impegno di ciascuno, spontaneismo ragionato: sono le regole auree, strategiche, della società del ventunesimo secolo.

Tutto questo, peraltro, è tanto più vero in materia ambientale, se consideriamo quanto l’azione civica rafforzi il senso del bene comune e quanto il senso del bene comune sia essenziale per la protezione dell’ambiente. Cos’altro è, la natura, se non il più grande bene comune che esista? L’indisponibile patrimonio di tutti e di nessuno? Se il senso del bene comune non esiste, salvare la natura diventa impossibile. Infine, c’è un altro aspetto da considerare: di fronte alla distruzione ambientale in atto, alla perdita di siti e habitat naturali, contare su una serie di azioni mirate sul territorio, anche molto localizzate, può voler dire tanto. Piccole aree umide - per fare un esempio - curate da micro-gruppi di volontari (e in alcuni casi anche da singole persone, le Olga Huckins del caso) e dislocate sul territorio, che permettano la sosta agli uccelli selvatici durante il viaggio della migrazione e siano un concreto aiuto alla biodiversità. Un aiuto che in molti casi può essere decisivo. Il futuro dell’impegno naturalistico sarà anche questo: non solo grandi aree protette (indispensabili) ma piccole oasi, ”giardini” di biodiversità, santuari per uccelli alla Olga Huckins. Un mosaico di beni naturali. Una microfisica della conservazione della natura.

Ognuno

In un certo senso è così: in ogni giardino c’è il mondo intero. In ogni mangiatoia per uccelli ci sono tutti gli uccelli del mondo. Non è panteismo, non è idealismo. È la visione della vita come rete della vita, che rende nobile ed indispensabile l’agire di chiunque di noi, anche di chi pensa di non contare. «Il sogno di ogni cellula - scrive il genetista Francois Jacob - è quello di diventare due cellule».

Per le persone vale la stessa cosa: il sogno di ognuno di noi è rompere la gabbia buia della solitudine e dell’impotenza, lasciarsi alle spalle il rancore, il risentimento, ed essere insieme. La musica, la tolleranza, il pensiero, il gioco degli scacchi, l’etica del lavoro, l’aiuto al prossimo, lo studio, la natura, gli alberi, il giardino, l’acqua alle aiuole, i nidi artificiali, le mangiatoie, la tutela di un’area umida, gli uccelli. Ognuno faccia quello che può, poco o tanto che sia, ma lo faccia. È bello, è utile, è doveroso, è giusto, e se lo facciamo non ci saranno primavere silenziose, né passioni tristi, né Natali vissuti nella solitudine e nel disincanto. Se lo facciamo, abbiamo già vinto

Danilo Selvaggi, Direttore generale della Lipu

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