Alla ricerca della caccia perduta
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Ci sono almeno due modi per leggere il Disegno di legge Malan e il suo tentativo di riforma della caccia
Il primo, specifico, riguarda gli obiettivi di dettaglio che il disegno si pone e che includono alcuni dei grandi sogni del mondo venatorio italiano: la caccia a febbraio, il ritorno dell'uccellagione (la cattura degli uccelli per utilizzarli come richiami vivi), il recupero per vie traverse di specie vietate dalla normativa europea, l'ampliamento delle aree nelle quali sia possibile cacciare, la vendita di più armi e munizioni.
Il secondo modo, generale, attiene al rilancio culturale della caccia e del cacciatore, in un'operazione temporale a ritroso che riporti la lancetta della storia a prima della legge 157 del 1992, se non addirittura della legge 968 del 1977.
La 157, pur molto tempo dopo la Direttiva Uccelli (1979) ha inquadrato la caccia italiana nel contesto europeo di un'attività venatoria che si svolga secondo principi, pratiche e verifiche di sostenibilità, in modo da non pregiudicare lo stato di conservazione delle specie. In sostanza, una caccia che sia subordinata alla tutela, sotto il profilo tecnico-scientifico (è la scienza che valuta e dà il parere sulla cacciabilità o meno) e sotto il profilo culturale: proteggere la natura è più giusto che distruggerla.
Le restrizioni sopraggiunte - cioè meno tempi e specie cacciabili e più vincoli pratici - ma soprattutto la perdita dell'egemonia culturale, dell'immagine edificante del cacciatore posto al centro del bosco ed al centro del bar del paese sono le ragioni del rifiuto, per non dire del vero disprezzo, della legge 157 da parte di una larga fetta del mondo venatorio italiano. Che oggi tenta, appunto, la grande rivalsa.
L'operazione è politicamente più fondata dei tentativi degli anni passati, viste le condizioni governative e parlamentari molto favorevoli e persino lo stato di salute non ottimale dell'Unione europea, da sempre barriera contro le principali velleità venatorie. E tuttavia, la 157 e la stessa Direttiva Uccelli non vennero nel nulla e dal nulla ma furono anche il frutto di mutamenti che hanno spostato gli accenti culturali, sociali, ambientali, cambiando la realtà in molti aspetti non secondari.
È questo il punto che il mondo venatorio italiano non ha mai compreso. Ha rifiutato - tranne alcuni pur encomiabili tentativi - l'occasione di modernizzarsi, accettando davvero le nuove normative, e ha dichiarato guerra alla storia, ponendosi alla ricerca quasi ossessiva del tempo perduto della caccia.
"È il momento giusto", dicono oggi in coro i cacciatori. Il clima generale, l'Europa in crisi, il riaffacciarsi di una cultura del conflitto, della forza, della chiusura sembrano agire a loro favore. E tuttavia, certe rivoluzioni culturali come quella ecologica sono più profonde di ciò che si creda. Hanno scavato più a fondo, hanno messo radici.
Non bastano le maggioranze parlamentari o l'occupazione dei ministeri e nemmeno il bavaglio alla scienza, leggi Ispra, per sradicarle. Non basta nemmeno voler scrivere nella nuova legge che la caccia aiuta la biodiversità. Anzi, potrebbe accadere il contrario: che il cacciatore, figura oggi a malapena tollerata, sia espulso del tutto dal contesto dell'accettazione sociale e la ricerca del tempo perduto si trasformi nella sua perdita definitiva.
E allora sì: forse, in questo senso, il momento è giusto.
Danilo Selvaggi, direttore generale Lipu-BirdLife Italia