Luci e colori di un'altra natura
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Nella sezione Mostre virtuali, il sito della Lipu ospita Lascia la porta socchiusa, 17 affascinanti opere di Fabrizio Carbone, raccolte nell'omonimo volume (Pandion Edizioni 2024) che contiene anche 96 sue composizioni poetiche. Al margine della mostra, Fabrizio Carbone si racconta: una lunga storia di arte, natura, ambientalismo e incontri fuori dal comune.
Nato il 26 dicembre del 1942 a Magugnano, paesino del Viterbese, in piena guerra, a 16 anni Carbone vince un premio di pittura che gli vale un soggiorno ad Amsterdam. A 18 anni la prima mostra a Salsomaggiore Terme. Poi l'egittologia e il giornalismo.
Scoperta da subito la bellezza della natura, non la abbandona più e la racconta con l'arte e il lavoro.
Carbone è a fianco del Wwf ma anche di Lipu, Greenpeace, Legambiente. Va in giro per il mondo, realizza reportage e documentari, sostiene numerose cause ambientali. Poi scopre il fascino del Grande Nord, vivendo a lungo in Finlandia, con la seconda moglie Patrizia Chiozza, e rivitalizzando la passione per l'arte, di cui Lascia la porta socchiusa è un affascinante testimonianza.
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Vita intensa, ricca di cose, quella di Fabrizio Carbone.
A volte penso di averne fatte troppe, ma ne è valsa la pena. Mandela, Gorbaciov, Rita Levi Montalcini, l'intervista ad Andreotti, la ricerca degli occhiali che Woody Allen aveva perso per strada a Manhattan... Forse l'intensità è dipesa dal fatto di essermi voluto cimentare, comunque.
C'è un momento che, diciamo così, ha segnato il tuo destino?
L'incontro con il professor Sergio Donadon. Era il 1964 e lui era l'egittologo più importante in Italia. Mi spedì al Museo Egizio di Torino per catalogare frammenti nascosti negli scantinati. Poi mi portò in Egitto. Non divenni un archeologo ma imparai ad approfondire, a cercare le fonti, a leggere gli strati di superficie della terra. Mi è servito per studiare, per quanto possibile, la natura delle cose.
Ti sei diviso tra natura, arte, archeologia, giornalismo, ma l'impressione è che siano tutte parti di uno stesso discorso.
Tra natura e arte c'è, per me, un nesso profondo. Quanto all'archeologia, mi ha aiutato a diventare giornalista. Era il 1967 e il mondo giovanile stava per esplodere. Lasciai l'università e fui assunto al Resto del Carlino di Bologna proprio con un reportage sull'Egitto. Agli inizi feci cronaca nera, scandali politici, trame eversive, terrorismo, fino al rapimento e all'uccisione di Aldo Moro. Solo nei momenti di "calma" potevo proporre di parlare di natura, ambiente, animali, conservazione.
La natura ti è "apparsa" per la prima volta in Alto Adige.
Avevo 6 anni o 7 e in un bosco della Val Pusteria vidi un capriolo correre tra gli abeti. Una folgorazione. Poco dopo scovai un grosso uccello posato a terra. Mi avvicinai per toccarlo e lui si alzò in volo con fracasso. C'erano alcune uova a terra nel nido. Il tutto mi lasciò sbigottito.
Fulco Pratesi è stato un tuo punto di riferimento, umano e professionale.
Lo conobbi quando avevo 6 anni, essendo lui il cugino di Fulco Pignatti, mio compagno alle elementari. Pratesi divenne presto un mito. Lui mi dette gli input e mi spinse a disegnare. Il caso volle che trovassi uno studio da pittore nello stesso palazzo del suo studio di architetto, in via Micheli a Roma [dove Pratesi curava anche la redazione di Proavibus, la prima rivista della Lipu, ndr]. Nell'estate del 1966 partecipai alla prima riunione del nascente Wwf. Con Fulco e la moglie Fabrizia l'amicizia non si è mai interrotta.
Com'era occuparsi di natura negli anni Settanta? C'era la sensazione di qualcosa di nuovo?
Nel giornalismo italiano, nei primi anni Settanta, di natura non si parlava. Antonio Cederna e Mario Fazio erano punti di riferimento per i problemi ambientali, storici e urbanistici. Gianfranco Amendola era il pretore che faceva inchieste "in nome del popolo inquinato", come recitava un suo libro. Quando però si trattava di animali, i nomi erano quasi sempre sbagliati.
Erano gli anni dell'ecologismo, del primo ambientalismo politico.
Nel 1972 a Stoccolma si tenne la prima conferenza dell'Onu su ambiente e sviluppo. All'epoca, sulla Terra, eravamo 3 miliardi e mezzo. Si poteva fare moltissimo. La parola ecologia era sulla bocca degli studiosi, dei ricercatori. Konrad Lorenz e Danilo Mainardi erano i maestri dello studio del comportamento animale. Sostenibilità divenne il concetto nuovo ma era ancora difficile ottenere spazio, nei quotidiani dove lavoravo, per parlare di lupi, erosione del suolo, problemi di CO2 o istituzione dei parchi naturali marini.
Quello fu, più in generale, il tempo della controcultura. Tu l'hai vissuta anche a New York, cioè da un punto di vista privilegiato.
Nel 1972 il Resto del Carlino mi mandò, da inviato, nella Grande Mela. Potevo scrivere di società, giovani, droga, ambiente, arte. Ebbi l'opportunità di girare gli States ed anche molti paesi dell'America Latina, incontrando i personaggi di un mondo poco conosciuto in Italia. I grandi gruppi ambientalisti del Sierra Club e dell'Audubon Society erano saldamente presenti nel mondo culturale. La mia esperienza finì alla fine dell'anno: mi dimisi dal giornale che appoggiava i bombardamenti sul Nord Vietnam.
Quali incontri ricordi più di altri?
Ebbi la gioia di conoscere Ansel Adams, grandissimo fotografo e ambientalista d'avanguardia. A New York incontrai Mimi Farina, la sorella minore di Joan Baez, fondatrice del movimento Bread and Roses, che aiutava i diseredati, i carcerati, gli emigranti.
E poi? Cosa è successo nell'evoluzione della controcultura e dell'ambientalismo?
Negli anni Ottanta l'ambientalismo diventò di moda. Molto incisiva divenne la spiegazione del rischio di disastri ambientali o catastrofe nucleare. Ricordiamoci ovviamente di Chernobyl, nel 1986.
Ci furono anche leggi storiche e svolte importanti.
Nacquero nuovi parchi e aree protette. Il referendum bloccò il nucleare. A mio avviso, però, si parlò troppo in convegni e dibattiti e si agì solo di fronte a piccole e grandi catastrofi, per rimediare all'accaduto.
Nel 1992 seguisti il Summit della Terra, a Rio de Janeiro, con l'antesignana di Greta Thunberg.
Sulla Terra eravamo diventati 5 miliardi e 300 milioni. A Rio esplose il problema delle foreste tropicali e in particolare dell'Amazzonia. I problemi si erano aggravati ma solo allora si cominciò a parlare di riscaldamento globale. Ero a Rio e ricordo bene Severn Cullis-Suzuki, la quattordicenne canadese che si alzò a parlare dei disastri nel mondo e dell'inettitudine dei potenti della Terra. Venti anni prima di Greta. I presenti ammutolirono, ma poi?
Il tuo rapporto con la natura: più scientifico o più emotivo?
Molto emotivo ma insieme a tanto approfondimento scientifico. Non facile per me che vengo dal liceo classico, e però indispensabile per capire bene quello che succede.
La Finlandia, un capitolo speciale.
Visito questo Paese nel 1987 e resto incantato dalla Natura e dal comportamento degli abitanti. Conosco un fotografo, Hannu Hautala, che mi accompagna alla scoperta della foresta artica. Nel 2003 acquisto una piccola casa in legno che diventa I Due Cieli: alci e galli cedroni, lepri variabili ed ermellini, aquile e allocchi di Lapponia dalle finestre di casa. Una vita serena, pulita, splendente nelle luci dell'aurora boreale, nel bianco assoluto dell'inverno, nel silenzio e nella purezza delle acque e dei boschi estivi.
A proposito di purezza: dicci della tua pittura. Che artista è, Fabrizio Carbone?
Raccolgo forme e colori che mi colpiscono. Sono intorno e dentro di me e poi escono fuori, a riempire il bianco di una tela o di una carta. Pian piano ma quasi magicamente i segni si uniscono e si contrastano e i colori della natura creano forme anche apparentemente non riconoscibili. La mia Natura è segno di appartenenza. Poi alla fine è la poesia che interviene a chiudere il cerchio di un'avventura continua.
Cosa dobbiamo leggere nelle affascinanti opere di Lascia la porta socchiusa? C'è un messaggio unitario da cogliere, in questa avventura?
Uso una tecnica mista, acquerello, matite colorate, pennarello, china, e ciò che voglio trasmettere è l'emozione della luce e del colore. Le immagini sono altre da quelle tradizionali della pittura naturalistica. C'è la voglia di portare sul foglio bianco i miei desideri, quanto mi resta dentro del volo degli uccelli migratori o della morte di un albero.
Le composizioni pittoriche di Lascia la porta socchiusa sono luminose, piene di speranza. Tra i versi, invece, altrettanto suggestivi, compare anche il lato in ombra. Ad esempio, a un certo punto scrivi "Non vedo altro che macerie. La mia unica strada è la natura delle cose. Aspetto l'arrivo delle rondini".
Infatti le ombre sono le mistificazioni, l'imbroglio, la perdita di memoria. L'arrivo delle rondini mi assicura che anche questo anno, nonostante tutto, va nella direzione giusta
Scrivi anche: "Con il tempo le ramificazioni tendono a scomparire". Cosa significa? Un bisogno di semplicità?
Quello che tende a scomparire è l'uso delle parole giuste, degli aggettivi concreti. Si riempiono gli spazi vuoti con l'uso distorto e inutile di parole come "straordinario" e "incredibile" per non dire nulla, per non saper più parlare.
Una tua opera delle tante, che ha come soggetto le rondini, si intitola Guai a cancellarle dal cielo. Avevi anche in mente la rondine del circolo polare artico?
Sì certo, la rondine che nidifica al circolo polare artico! Le rondini sono per me il simbolo della lunga migrazione Africa-Europa. Vederle arrivare al circolo polare artico - conosco esattamente il posto di un nido - è una grande gioia. Abbiamo un'idea fuorviante della Finlandia. In realtà, quando arrivano le rondini verso fine maggio è già tutto in fiore e il paesaggio è verdissimo. Laghi, foreste e fiumi senza soluzione di continuità. E' il loro paradiso, dove nidificano con la felicità e il rispetto di tutti.
A proposito di parole, torno sulla natura. Come la definiresti, con una parola, un sentimento?
Natura per me è sempre Maiuscola. Chi non la conosce non può amarla.
E l'amicizia?
Un dono grande, non appeso all'elenco dei social.
Per la mostra virtuale su www.lipu.it hai omaggiato i 60 anni della Lipu con un'upupa. Qual è la tua specie di uccelli preferita?
L'upupa è nel mio cuore da sempre. Poi, appena dietro, ci sono gli strigiformi e i falchi.
E domani? Cosa ha in programma per domani, Fabrizio Carbone? A cosa lascia la porta socchiusa?
Al mistero della prossima pittura e della nuova poesia. Ne scrivo una ad ogni disegno finito.