Origini e sviluppi dell'ecologia della cultura
Nonostante ci siano validi motivi per andare ancora più indietro nel tempo, è ragionevole collocare la nascita dell’ecologia della cultura tra gli anni Settanta e Ottanta del ventesimo secolo. In questa fase storica, con i movimenti ambientalisti ancora giovani ma già in via di affermazione globale, l’interesse per l’ambientalismo supera i confini tecnico-scientifici, politici e direttamente ambientali, per fare ingresso nella cultura in senso più lato.
Se nel 1962, dando il via all’ambientalismo contemporaneo, Primavera silenziosa di Rachel Carson aveva messo in relazione i danni dell’agricoltura industriale con la scomparsa degli uccelli e una visione del mondo sempre più riduzionistica, da lì a poco il mondo della cultura si rivolgerà con attenzione autocritica alla questione ambientale.
Nel 1967, sulla rivista Science, lo storico statunitense Lynn White Jr. pubblica un breve saggio, Le radici storiche della crisi ecologica, nel quale fa risalire la crisi ecologica alla scomparsa delle antiche religioni animiste, con la loro concezione molteplice e “meravigliata” della natura, e all’avvento della visione biblica del mondo: l’uomo al centro a dominare il tutto. Per molti aspetti, lo scritto di White va considerato uno dei punti di partenza di un'ecologia della storia, ovvero di una storia dell'ambiente, con lo scopo di promuovere una storiografia alternativa, o comunque integrativa, pensata in chiave ecologica.
Nel 1972 vede la luce Verso un’ecologia della mente, raccolta di scritti e conferenze di Gregory Bateson nel quale lo scienziato e intellettuale inglese espone la tesi della cosiddetta ecologia della mente e, in questa luce, affronta il tema della crisi ecologica. I problemi ambientali, secondo Bateson, vanno visti soprattutto come una questione culturale, di pensiero errato e relazioni errate. E' il modo in cui ragioniamo sul mondo, prima ancora dell'inquinamento e degli altri grandi problemi antropici, che sta alla base della crisi ambientale. Da lì, dall'ecologia della mente e della cultura, dobbiamo partire.
A sua volta, dopo averne ampiamente parlato nel decennio precedente, nel 1973 il filosofo norvegese Arne Naess teorizza il concetto di ecosofia: una visione del mondo per la quale l'ecologismo non deve essere un mero insieme di abitudini, più o meno meccaniche, ma una convinzione che sta al fondo nelle nostre coscienze e che solo così può tradursi realmente in buone pratiche. Serve, dice Naess, una ecologia profonda e non superficiale. Per questo la filosofia deve porsi al servizio dell’impresa ecologica: per ridefinire il nostro pensiero e la consapevolezza della condizione umana.
Il 1974 è l'anno della pubblicazione de La responsabilità dell’uomo per la natura, del filosofo australiano John Passmore. Con quest'opera, considerabile come l'esordio della filosofia dell'ecologia, nel senso della rilettura ecologica della filosofia, Passmore passa in rassegna in chiave ecologica una parte della storia della filosofia occidentale, sottolineando la necessità di mettere in evidenza non solo gli aspetti critici, antiecologici, del nostro pensiero, ma anche i risvolti positivi, che vanno recuperati e valorizzati. Dalla tradizione culturale occidentale, filosofica o meno, dobbiamo prendere il meglio, contribuendo così al cambio di attitudini culturali e pratiche.
Sulla falsariga di Passmore, sebbene con molte differenziazioni concettuali, si collocherà il lavoro di Eugene C. Hargrove, filosofo statunitense che nel 1979 fonda la rivista di etica ambientale Environmental ethics e nel 1989 pubblica Fondamenti di etica ambientale, un volume di grande importanza per la rilettura ecologica della storia della filosofia.
Gli anni Settanta e Ottanta saranno anche il momento storico in cui la questione ecologica comincia ad interessare il campo delle scienze sociali e della psiche, con la nascita della Sociologia dell'ambiente, dell'Ecopsicologia (Theodore Roszack), dell'Ecoantropologia, nonché delle scienze umanistiche, principalmente con l'Ecoletteratura, per non parlare del fondamentale contributo giunto dalle cosiddette scienze della complessità (Edgar Morin, Fritjof Capra, Humberto Maturana, il citato Gregory Bateson) che inseriranno nel discorso ecologico la concezione sistemica della realtà.
Negli anni Duemila l'ecologia della cultura vivrà un grande fermento, con elaborazioni sempre più ricche che conquistano importanti palcoscenici accademici, fino ai nostri anni, nei quali l'ecologia della cultura raggiunge in pratica tutte le discipline, incluse le arti, con una straordinaria varietà di temi e una produzione letteraria ormai sterminata, arricchita dal più recente dibattito, multidisciplinare, sul concetto di Antropocene.
Nata negli anni Settanta del secolo scorso, l'ecologia della cultura è cresciuta con il tempo, conquistando infine tutte le discipline e le forme di sapere e producendo un vasto dibattito e una letteratura sterminata